Carlo Calenda ha tutto il diritto di dire peste e corna di Totò Cuffaro, l’ex presidente della Regione condannato per favoreggiamento della mafia e rinchiuso per sei anni nel carcere romano di Rebibbia. Ma quando indossa le vesti del predicatore duro e puro, il leader di “Azione” dovrebbe quantomeno ricordare che è capitato pure a lui di affondare più o meno coscientemente le mani nell’immondezzaio della politica siciliana. Era la vigilia delle elezioni regionali del 2022 e Calenda presentò come candidato alla presidenza, contrapposto a Renato Schifani, un personaggio che all’estero certamente non ci invidiano: si chiama Gaetano Armao, è un opaco avvocato d’affari e un voltagabbana seriale; è stato per molti anni consulente di due avventurieri della finanza come Ezio Bigotti e Stefano Ricucci; ha sulle spalle una sentenza della Commissione Tributaria regionale che gli impone di versare al fisco 621 mila euro di tasse non pagate; e, come se non bastasse, ha pure un lungo passato di assessore all’Economia durante il quale ha devastato i bilanci della Regione in maniera ormai certificata sia dalla Corte Costituzionale che dalla Corte dei Conti.

Su questi dettagli, non certo edificanti, Calenda nell’estate del 2022 – forse perché abbagliato dal sole di Sicilia – non ha esercitato purtroppo la necessaria oculatezza. Tuttavia ha la possibilità di rifarsi: chieda a Schifani in base a quali motivi ha deciso, subito dopo la conquista di Palazzo d’Orleans, di chiamare al suo fianco, come consigliere pagato con sessantamila euro l’anno, proprio Armao; chieda di che pasta è fatto il cordone ombelicale che lega il presidente della Regione al suo ex rivale e si faccia pure spiegare in virtù di quale strategia Armao ha avuto delegati poteri – basta citare quelli sui fondi europei – che di fatto lo hanno trasformato in un vice presidente occulto della Regione.

Solo dopo avere gettato un fascio di luce sul mistero che avvolge l’impenetrabile amicizia tra il governatore della Sicilia e l’ex candidato di “Azione”, Carlo Calenda potrà dedicarsi, certamente con maggiore autorevolezza, al suo sport preferito: il linciaggio di Totò Cuffaro. Senza un’operazione verità su Armao e dintorni, ogni sua predica moralizzatrice rischia di apparire zoppa, falsa, immorale.