Nel bel tempo andato, quando il re era re, i due contendenti sarebbero stati precettati d’urgenza e nel giro di due minuti il nodo sarebbe stato sciolto. Invece la contrapposizione tra Renato Schifani e Gianfranco Miccichè, vecchie e drammatiche glorie di Forza Italia, continua a marcire sotto il sole di Sicilia. Chi dei due rappresenta a pieno titolo il partito di Silvio Berlusconi? Ah, saperlo. Schifani tira dritto: si è insediato a Palazzo d’Orleans, ha nominato la giunta, conta su nove deputati di Forza Italia, ha una maggioranza risicata in Assemblea regionale, ma è convinto di farcela: la lunga marcia dei cinque anni è appena iniziata. Certo, si è piegato ai diktat dei colonnelli meloniani e ha nominato controvoglia – come un povero Don Abbondio, ha scritto Repubblica – due assessori che il giorno prima non aveva messo nel conto, ma alla fine è lì che governa, che prepara il valzer dei dirigenti, che intesse rapporti e relazioni, che dispone e promette, che concorda con gli alleati i futuri incarichi di sottogoverno.

Miccichè invece è rimasto al palo, triste solitario y final: ha perso la presidenza dell’Ars, non ha un suo uomo in giunta, può contare solo su quattro voti, non ha alcun peso dentro le commissioni parlamentari. Un disastro. Prima delle elezioni, quando era ancora al vertice di Palazzo dei Normanni, si è fatta una leggina consolatoria che gli garantisce ogni privilegio e ogni comodità: quindi non andrà a Roma, non opterà per il Senato, rimarrà all’Ars e farà di professione il guastafeste del nuovo corso, quello di Schifani. Sinceramente non c’è da provar pena né per l’uno né per l’altro. Solo per Berlusconi. Sconfitto, come il poeta inglese Byron, “dall’ignoranza delle proprie intenzioni”.

L’impotenza del vecchio Cavaliere ha determinato una situazione che presenta, nel palcoscenico siciliano, aspetti di non trascurabile amenità: il brand e il simbolo di Forza Italia – quelli originali – restano nelle mani di Miccichè, che non perde nemmeno la carica di coordinatore regionale, carica che riveste dal ’94, anno della fondazione del partito; il gruppo di Schifani & C. si chiamerà invece “Forza Italia dell’Ars”: se non è zuppa è pan bagnato, se non è pelle è similpelle. Ma torniamo alla domanda iniziale: chi rappresenterà l’impero di Arcore in Sicilia? La risposta è disarmante: nessuno dei due. Per il semplice fatto che l’impero non c’è più. Gli azzurri di Schifani costituiscono ormai un protettorato di Fratelli d’Italia, retto sostanzialmente da due gerarchi romani: Ignazio La Russa e Francesco Lollobrigida. Mentre gli azzurri di Miccichè incarnano il prodotto residuale di un suicidio politico congegnato con millimetrica precisione e portato a termine con la massima destrezza.