In Sicilia non si parla più di munnizza. E nemmeno di termovalorizzatori: che fine ha fatto il bando per la realizzazione di due impianti (uno a Catania; l’altro a Pantano d’Arci, nel Gelese) per il quale, nel febbraio scorso, avevano manifestato interesse sette diverse società? La risposta è ‘boh’. Dagli uffici della Regione neanche un sussulto. Almeno fino a giovedì scorso, quando s’è insediato il nuovo assessore all’Energia, Roberto Di Mauro. Uno che in questi anni di tempesta giudiziaria, ha fatto le veci dell’ex governatore Raffaele Lombardo, rimasto impantanato nelle accuse di concorso esterno e corruzione elettorale, prima che la Corte d’Appello di Catania le spazzasse via.

Di Mauro, dicevamo. L’ex vicepresidente dell’Assemblea regionale, tra i più incalliti oppositori interni di Nello Musumeci, è arrivato l’altro giorno in Viale Campania, a Palermo, dove nel corso dell’ultima legislatura si erano succeduti tre diversi assessori (il neo leghista Figuccia, il tecnico Pierobon e la professoressa Baglieri) senza riuscire a trovare il bandolo della matassa; e dove persino gli uffici rimangono sguarniti a causa della fuga dei funzionari, sempre meno disposti a rimanere impigliati nelle trame di un potere occulto come quello rappresentato da ‘signori delle discariche’ e imprenditori senza scrupoli che dall’emergenza rifiuti traggono – da sempre – profitto.

L’ultima inchiesta del nucleo di polizia economico-finanziaria di Palermo ha svelato l’ennesimo tentativo di corruzione e portato a un paio di provvedimenti cautelari nei confronti di un funzionario della Regione (che nel frattempo ha cambiato dipartimento, traslocando all’Agricoltura) e un imprenditore. Ma soprattutto ha riproposto la questione dei rifiuti, piaga atavica che stritola la Sicilia senza soluzione di continuità. Anche Di Mauro dovrà scottarsi, e in parte l’ha già fatto. Ponendo seri dubbi sulla realizzazione dei termoutilizzatori (così li chiamò Musumeci per addolcire la pillola agli ambientalisti) che dovrebbero sorgere nell’Isola per ovviare alle discariche sature: “Costano troppo”. Un problema che l’ex governatore ha provato ad affrontare solo nella seconda metà della legislatura, finita malissimo a causa delle liti con Micciché. Il 17 febbraio scorso Musumeci spiegava di essere “sulla buona strada per liberare la Sicilia dalla schiavitù delle discariche, una situazione che è resa ancora più pesante per la contiguità con ambienti spesso mafiosi e spregiudicati”.

Da quel momento, però, non ci sono stati passi avanti e “la gara per l’affidamento della concessione”, che avrebbe richiesto sei mesi di tempo, non è mai stata ultimata. In tanti si chiedono il motivo, ma nessuno riesce a darsi una risposta. Nemmeno Renato Schifani, che nel corso dell’ultima campagna elettorale aveva promesso di approfondire la questione. Pur asseverando le tesi del predecessore; e cioè che per risolvere il problema delle discariche stracolme e della spazzatura per strada, “è evidente che la soluzione non può che passare dalla realizzazione di due termovalorizzatori per dare ossigeno a due aree geografiche come Palermo e Catania. Se troverò le procedure avviate continuerò quel percorso”, aveva rassicurato Schifani. Che oggi rilancia: “Attiverò subito le procedure per realizzarle”. Dove? Certamente a Catania, nell’ex acciaieria. Mentre se sull’impianto di Gela “verificherò se la procedura è in fase avviata”. L’alternativa (che Schifani preferisce da sempre) è Bellolampo, a ridosso della discarica stracolma dove conferisce la provincia di Palermo: ma “se ripartire da zero su Palermo fa perdere un anno, preferisco Gela”, ha ribadito a Repubblica.

Il fatto che non si sappia ancora dove realizzare le due opere, però, dimostra che non siamo così vicini a farlo. Quali saranno i territori investiti, e in barba a quali norme? Come spiegava mesi addietro il segretario regionale del Partito Democratico, oggi deputato alla Camera, Anthony Barbagallo, l’Avviso pubblico per i due termovalorizzatori è “illegittimo perché non previsto dal piano rifiuti e perché comunque senza la previsione del piano rifiuti occorre, ai sensi dell’articolo 9, comma 1, della legge 9, il parere delle province, dei comuni, delle Srr e successivo decreto del presidente della Regione”. Un groviglio amministrativo da far tremare i polsi. A far cadere le braccia, però, sono le constatazioni di Di Mauro: “Questi impianti hanno dei costi di gestione altissimi e questi costi andrebbero sostenuti dalle Srr e dunque dai Comuni con la tariffa di smaltimento – ha detto, al Giornale di Sicilia, il nuovo assessore al ramo -. Credo che senza il contributo pubblico venga a mancare la convenienza a realizzarli. Alcuni anni fa – ricorda – lo Stato prevedeva un contributo pubblico per realizzare e gestire questi impianti e lo faceva per evitare che la Tari schizzasse verso l’alto. Dobbiamo discutere con Roma la possibilità di introdurre un contributo simile”.

Gli Autonomisti, sulla questione, hanno sempre avuto un atteggiamento laico. Più ‘no’ che ‘sì’, carte alla mano. Dopo che la Corte di Giustizia di Lussemburgo, nel 2007, annullò la prima gara per realizzazione di quattro inceneritori (non rispettava alcuni criteri europei), il governo Lombardo tentò una nuova gara per evitare contenziosi, ma “alle giuste condizioni – disse Lombardo qualche tempo fa -: l’obbligo di adeguare gli impianti alle migliori tecnologie e alla salvaguardia dell’ambiente e il ridimensionamento in relazione ai rifiuti realmente prodotti e all’incremento della differenziata prescritto dall’Unione Europea”. La gara però andò deserta, e un paio di passaggi successivi, tra cui “l’annullamento in autotutela delle procedure”, fecero tramontare il sogno di Cuffaro. Che al collega non ha mai risparmiato critiche per questo atteggiamento di chiusura. Durante un’audizione in commissione Antimafia arrivò a sostenere che “il governo dopo di me si è vantato di aver bloccato il malaffare dei termovalorizzatori, ma il malaffare sta dall’altra parte, nelle discariche”.

Sono trascorsi una decina d’anni o giù di lì. E in Sicilia non è accaduto nulla di realmente nuovo. I termovalorizzatori non ci sono e, al netto delle decisioni di Schifani, non ci saranno per almeno tre o quattro anni (cioè il tempo necessario a realizzarli). La monnezza continua a invadere le strade (più di prima). Le discariche cominciano a esaurirsi, anche se l’atteggiamento di cautela da parte della Regione – specie sulle autorizzazioni di impatto ambientale – non garantiscono ampliamenti di sorta. E quindi? L’unica opzione, mai praticata del tutto, è portare i rifiuti all’estero e chiedere un sacrificio ai cittadini, con l’aumento della Tari in bolletta. Comunque una prospettiva intollerabile.