Pure a Matteo Salvini è arrivata voce che Nello Musumeci non abbia governato bene: “Su alcuni temi – rifiuti, sanità, infrastrutture, turismo – i risultati dovevano essere migliori”, ha spiegato il leader della Lega nel corso di un’intervista a ‘La Sicilia’. Fornendo comunque una risposta a chi – Giorgia Meloni – continua a chiedersi il perché di tanta resistenza sulla ricandidatura di Nello: “Mi pare che gli uscenti sono ricandidati se non ci sono ragioni contrarie”. Entrambi, Salvini e Meloni, ignorano forse che questi primi cinque anni (che in teoria dovevano essere gli unici, ma vabbè) sono quelli della semina. E che Musumeci non è disposto a lasciare a nessun altro il frutto delle sue fatiche. Lo ha detto in più sedi, compresa l’esibizione muscolare dell’estate scorsa allo Spasimo di Palermo, dove presentò il primo consuntivo dell’attività di governo: “Abbiamo seminato tantissimo in questi tre anni e mezzo e lo faremo ancora. Ma abbiamo ancora il diritto di raccogliere. Lo dice la legge del contadino: chi semina raccoglie. Non siamo così generosi di avere sputato sangue tanti anni e di fare raccogliere i frutti al primo che arriva in doppio petto”.

Un concetto ribadito qualche mese più tardi alle Ciminiere di Catania, con quattro anni di legislatura alle spalle: “Da quando è scoppiata la pandemia ho capito che non avrei potuto completare il mio programma in cinque anni. Se io non fossi un presidente adeguato non ci sarebbe il centrodestra, e gli undici assessori appartenenti ai vari partiti sarebbero già usciti dal governo. Sono convinto che resteremo uniti e che questa squadra abbia il diritto di vivere la stagione del raccolto dopo quella della semina”. Non ha mai detto Musumeci a cosa corrisponde questa semina: se all’ordinaria amministrazione, se alla gestione dell’emergenza sanitaria (ancor prima che economica), se alle riforme promesse e mai realizzate. Se, magari, all’introduzione di un metodo nuovo che mettesse in cima alle scelte dell’esecutivo l’osannata ‘questione morale’, sfoderata dai banchi dell’opposizione e dalla presidenza della commissione Antimafia, nel corso della precedente legislatura.

Questa semina, anche se Musumeci afferma di “aver scalato le rocce insieme ai miei assessori”, potrebbe ridursi a un libricino illustrato di opere e riforme rimaste a metà. A un parziale disimpegno giustificato dall’assenza di una maggioranza solida (in aula) e dall’incombere del maledetto virus. Tolti gli alibi resta ben poco. Nel corso dell’evento delle Ciminiere, da cui sono trascorsi già trascorsi quattro mesi, Musumeci aveva elencato le riforme compiute: “Urbanistica – attesa da 40 anni! – pesca mediterranea, diritto allo studio, procedimenti amministrativi, riordino dell’istituto zooprofilattico, procedure semplificate nelle Zes, demanio marittimo, riqualificazione del Cas, funzionamento del Corpo Forestale”. E aveva avvertito che “altre riforme ci attendono: la legge sui rifiuti, ferma da due anni, quella sulla riforma degli Ipab, sul riordino della polizia locale, sugli Iacp. E, inoltre, la legge sul commercio, sui consorzi di bonifica, sui lavoratori stagionali della Forestale. Se votate dal parlamento – ma non mi faccio molte illusioni – darebbero una grande svolta a questa terra”. Non si è illuso e infatti nessuna di esse è andata in porto. Armi spuntate in vista della prossima campagna elettorale.

Ma nemmeno riguardo alla chiusura dei vecchi carrozzoni, il suo governo ha fatto passi avanti. C’è la cessione di Riscossione Sicilia all’Agenzia delle Entrate, versando una “buonuscita” da 300 milioni; c’è l’accorpamento (ancora in fieri) di Ircac e Crias, oltre alla promessa di Armao di dar vita a un polo tecnologico di cui facciano parte Sicilia Digitale (ormai distrutta), il Parco Scientifico e Tecnologico e la Società Interporti. Fine dei proclami. Poi ci sono enti – come Espi, Ems e Sicilia Patrimonio immobiliare – che attendono da una ventina d’anni di essere liquidati; altri, come l’Esa, che avrebbero dovuto chiudere in una strategia di riduzione degli sprechi; altri ancora, come l’Orchestra sinfonica, su cui è forte l’odore di marcio. Da alcuni di questi carrozzoni, come l’Ast, sono emersi, per altro, scandali immondi sui quali la Regione ‘minaccia’ addirittura di costituirsi parte civile. Come se non avesse avuto alcuna sfera d’influenza sulle nomine, sulla vigilanza e il controllo, sul determinare la mission di aziende pubbliche infiltrate dal malaffare, dalle clientele (al servizio della politica), dalla corruzione. Musumeci ha spiegato di aver visto il direttore generale, Ugo Fiduccia (arrestato), una volta sola. E così ha archiviato il caso per sempre.

Musumeci insiste che “abbiamo messo alla porta mafiosi, affaristi, lobbisti. Non ci cercano più perché sanno che li accompagniamo in Procura”. Fava lo contraddice: “C’è il Musumeci che tuona contro ogni forma di corruzione politica, clientelare e paramafiosa; e il suo avatar, che di fronte all’evidenza di alcune indagini giudiziarie che riguardano personale e dirigenti del suo partito a Barcellona (il riferimento è a un’inchiesta per corruzione elettorale, ndr), elegantemente tace. A questi furbi e utili silenzi, però, siamo abituati da quattro anni”. Ma anche gli avventurieri, in realtà, non hanno mai smesso di frequentare le stanze degli assessorati, come denunciato da Antonello Cracolici. La ‘questione morale’, strettamente legata all’attività politica e alle scelte di governo, è finita un’altra volta in cantina. Nessuno discute della statura morale dell’uomo, ma molte delle decisioni divergono dalla sua fama: come quella, resa ancora più discutibile dall’atto di conclusione indagini della procura di Palermo, di lasciare Ruggero Razza alla guida dell’assessorato alla Salute. Nonostante il coinvolgimento nell’inchiesta sui dati falsi e sui morti spalmati, che potrebbe costargli il rinvio a giudizio. La presunzione d’innocenza è sacra, ma la politica di dipana su altri livelli: “Moralmente Razza non è più l’assessore di alcuno”, ha spiegato lo stesso Fava.

Tornando alla semina, che è un argomento utilissimo per la campagna elettorale, va citato il resto dell’eredità di Musumeci: cioè i rapporti frantumati coi partiti della coalizione, che infatti cercano una exit strategy a tutti i costi, e la predilezione per un gruppo ristretto di assessori; ma soprattutto le liti con il parlamento regionale. Un’istituzione che troppo spesso è finita umiliata sull’altare del suo tornaconto (politico). Come la volta che Musumeci accusò l’on. Sammartino (ai tempi, renziano) per la richiesta del voto segreto: “Di lei dovrebbero occuparsi altri palazzi” (quelli giudiziari). O come accadde a novembre 2019, quando minacciò di non partecipare più ai lavori parlamentari dopo che l’articolo 1 della legge sui rifiuti fu impallinato con la complicità dei ‘franchi tiratori’: “Il governo regionale non andrà più in Aula fino a quando non sarà abrogato il voto segreto”. Chiaramente bluffava.

Ma c’è un episodio più recente: risale allo scorso gennaio, quando dopo aver chiuso al terzo posto la votazione dei Grandi elettori per il Quirinale, Musumeci andò fuori di sé. “Possono pensare questi sette scappati di casa che un presidente che non si è mai lasciato influenzare dalla mafia, può essere condizionato da loro?”. Il governatore denunciò l’ “atto di intimidazione” di alcuni deputati (della maggioranza), per non aver acconsentito alle loro richieste (specificando, solo dopo, che si trattasse di legittime richieste politiche). Fu il punto di non ritorno. La fine di qualsiasi velleità sul parlamento siciliano. Che oggi è balcanizzato più che mai attorno alla sua figura divisiva, da cui dipendono gli ultimi provvedimenti in termini di legge blocca-nomine e azzeramento delle commissioni.

Oltre a un operato amministrativo che, al netto della pandemia, la Meloni e Salvini dovrebbero ripassare, anche il resto della semina pone degli interrogativi sul futuro di Musumeci. “Io dopo quattro anni vedo soltanto gramigna. Sterpaglia. La natura che ha ripreso il sopravvento”, suggerisce Fava. Le prossime mosse del centrodestra diranno chi ha ragione o chi torto. O credete davvero che un presidente della Regione uscente possa essere scalzato per un semplice capriccio?