Alla fine sarà una festa per tutti: ve lo immaginate il Palermo sul campo del Biancavilla, dove hanno appena costruito una tribunetta da centocinquanta posti? O a Ragusa, in linea d’aria più a sud di Tunisi, per affrontare la squadra della frazione rivierasca del comune ibleo? O a Messina, nei due derby stagionali che rievocano i fasti passato? La Lega Dilettanti questo pomeriggio ha comunicato che la squadra di Perdichizzi è stata inserita nel gruppo I. Si tratta del girone siciliano, certamente il più romantico. Ne fanno parte Acireale, ACR Messina, Biancavilla, Castrovillari, Cittanovese, Corigliano Calabro, FC Messina, Giugliano, Licata, Marina di Ragusa, Marsala, Nola, Palmese, Rocciella, San Tommaso, Savoia, Troina. Un bel mix di formazioni sicule, calabre e campane. Diciotto in totale. Sulle 166 ammesse che compongono i nove gironi della Serie D. Una folle corsa per ritrovare i professionisti.

Non è la Serie Q della Schiapp di Pizzusiccu, quella in cui Franco e Ciccio, i due maghi del pallone, si misurarono nell’omonimo film degli anni ’70. In quel caso la società gialloblu, una composizione cromatica simile a quella degli argentini del Boca Juniors, dovette ingaggiare un mago, K.K., che nulla c’entrava col calcio per risollevare le sorti della squadra. Non è la Serie Z. Ma nemmeno un palcoscenico così blasonato. La Serie D, in cui l’anno prossimo si misurerà il Palermo, è l’avamposto dei professionisti. Un girone infernale in cui i club colati a picco – nell’ultimo anno erano Bari e Avellino, adesso tocca ai rosanero – provano a reinventarsi un blasone e risalire la corrente. Un investimento da quindici milioni di euro – a tanto ammonta il capitale sociale della nuova Hera Hora – è più che sufficiente per tentare (almeno) la scalata alla Serie B nei prossimi due anni. Sarebbe un fallimento non farcela. Ma Dario Mirri non è il mago K.K. e se c’è una cosa che lo sport insegna è che non si può dare nulla per scontato. Nemmeno se ti chiami Palermo.

Nel calcio di oggi, in cui i soldi contano più del resto, i siciliani partono col favore del pronostico. Anche se il percorso sarà infimo, perché contro i rosanero tutti vorranno giocare a mille all’ora e fare bella figura. Sui campi di provincia impolverati, dove se raggiungi mezzo migliaio di spettatori a domenica è già un miracolo, una cosa così non capita tutti i giorni. Pensate a quando un’orda di tifosi rosanero sarà pronta a invadere Biancavilla, in provincia di Catania. Uno stadietto dove appena l’anno scorso hanno migliorato il manto erboso e inaugurato una tribuna coperta da 150 posti. Sì, non abbiamo dimenticato uno zero: sono proprio centocinquanta. La squadra è stata promossa in Serie D dopo una finale playoff al cardiopalma col Canicattì: decisivi i rigori. Adesso, allo stadio “Orazio Raiti” arriverà il Palermo. Certo che la vita è strana.

Strana ma eccitante. Prendete il Parma. Scaraventato due volte nella polvere – la prima dai signori Tanzi della Parmalat, la seconda dall’imprenditore bresciano Tommaso Ghirardi – nell’estate 2016 ripartì dai Dilettanti. In tre anni ha eseguito un triplo carpiato e lo scorso maggio ha chiuso il campionato di Serie A al quattordicesimo posto. E una salvezza guadagnata in anticipo. Per il Palermo ci si attende una fiaba dello stesso tenore, e le premesse ci sono tutte. Un tifo finalmente tornato entusiasta, che anziché disperdersi per la discesa negli inferi, magicamente si ritrova; una proprietà finalmente affidabile, che ha tirato fuori un milioncino per garantirsi l’iscrizione in sovrannumero al torneo; un’Amministrazione comunale finalmente vicina, che ha ottenuto di tagliare fuori gli “avventurieri” degli ultimi anni con apposito bando, in ottemperanza alle norme federali.

Ogni sfida sarà una battaglia. Sarà importante scegliere i profili giusti, selezionare gli uomini e i calciatori (uno dei primi è stato Mario Santana, che per la prima volta era approdato a Palarmo 13 anni fa), trasmettere una mentalità e una cultura sportiva che a questa città non appartiene più. Non al Palermo del primo Zamparini, che aveva un’immensa dose di talento (da Pastore a Cavani, passando per Hernandez e Vazquez) e con quello sopperiva al sacrificio; tanto meno per l’ultimo Palermo, privo di una qualsiasi identità, costretto a vivere e sopravvivere nell’incertezza. Quel Palermo non deve più esistere.

Ne serve uno nuovo, giovane e rampante, spregiudicato in campo e fuori. Pronto a sfruttare gli errori degli avversari e bravo a non abbattersi, e a non farsi soffocare dalla pressione, quando arriveranno i momenti cupi. Sarà più una lotta con se stessi, che con gli altri. Del girone I faranno parte nove formazioni siciliane, cinque calabresi e quattro campane. Trasferte relativamente brevi, ma tutte molto insidiose. Tra i derby più attesi quelli con le due formazioni di Messina. Ce n’è una, la Acr Messina, che è la diretta discendente del Messina calcio che per qualche anno ha calcato i campi di Serie A, vincendo persino a San Siro come il Milan. Quella di Franza, il padrone dei traghetti. Si è liquefatta fino alla rinascita del 2017. Oggi gioca allo stadio San Filippo, stadio delle dimensioni del “Barbera”, puntualmente semideserto.

Poi c’è il Città di Messina, che è stato appena rilevato da un imprenditore italiano, Rocco Arena, che ha tentato la fortuna in Spagna dove guida un club di quarta serie, l’Alicante. Questa squadra gioca al Celeste, il catino terribile in cui Zampagna e soci ottennero l’apoteosi. Più a Ovest c’è il Marsala, tra le società più solide del calcio dilettantistico. A giugno è arrivata terza nel girone, alle spalle di Bari e Turris. Per la strana formula del campionato – dove soltanto la prima ottiene la promozione diretta in C e le altre spareggiano per entrare nella griglia degli eventuali ripescaggi – non si è potuta spingere oltre. L’allenatore del Marsala è un palermitano, Vincenzo Giannusa, mentre il direttore sportivo è Umberto Calaiò, fratello di Emanuele, attaccante della Salernitana. Un palermitano che a Palermo, da calciatore, non ha mai messo piede. Più a Sud, oltre al Biancavilla, c’è anche l’Acireale. Storica formazione che come massimo traguardo raggiunse la Serie B. Un esempio di azionariato popolare: sono i tifosi a tenere in vita la società granata. Si gioca al Tupparello: 13mila posti di capienza.

In provincia di Enna c’è anche il Troina, che gioca in uno stadio da mille spettatori, mentre nell’Agrigentino c’è il Licata, dove il calcio profuma di storia. E’ a Licata che partì l’esperienza italiana di Zdenek Zeman, l’allenatore boemo iper-offensivo a cui Sagramola guardava con un pizzico di interesse per affidargli il ruolo di direttore tecnico. Qui il pallone piccolo piccolo si fa un po’ meno piccolo: Zeman, al timone del club dal 1983 al 1986, ottenne una promozione dalla C2 alla C1 e lasciò un’eredità importante. Il Licata giocò un paio di anni in Serie B fra l’’88 e il ‘90. Lo stadio, all’epoca ristrutturato, è lo stesso di oggi: il “Dino Liotta”, undicimila posti di capienza. Dieci volte più piccolo del “Barbera”, invece, è l’Aldo Campo di Ragusa, dove il Palermo dovrà scendere per affrontare il Marina di Ragusa, squadra della frazione rivierasca. Due promozioni in due anni, dopo alcune stagioni anonime. La trasferta più a Sud dello stivale. Su un campo in erba, per fortuna.

In giro per la Sicilia, ma anche in Campania e in Calabria, ce ne sono molti in terra battuta. Che “battuta” è un parolone. Spesso sconnessi, campi di periferia, da dieci contro dieci la domenica mattina. E’ questa la Serie D: dove il pallone assume un’altra dimensione, per lo più sconosciuta e surreale. Il Palermo avrà il suo bel da fare per adattarsi. La stagione, comunque, partirà il primo settembre e restano un paio di settimane per mettere a punto ogni dettaglio.