Cateno De Luca è soltanto all’inizio della sua missione. E dismessa l’armatura della campagna elettorale, punta al sodo. Alla sostanza. Che non significa arrendevolezza. Ma proposta costruttiva e, quando serve, rigore: “Noi abbiamo l’esigenza di sistemare la macchina amministrativa. Loro, invece, vogliono solo accontentare la pletora degli amici”. Il riferimento è a Schifani e al centrodestra, coi quali sarà difficile trovare punti di contatto. Anche se l’ex sindaco di Messina non si tira indietro di fronte ai provvedimenti utili. “Porteremo avanti le nostre proposte, a partire dall’abolizione della commissione Via-Vas e dell’Urega, passando per l’accorpamento degli uffici regionali periferici. Inoltre non accetto che la portavoce del presidente della Regione guadagni 150 mila euro l’anno… Tramuteremo le idee contenute nel nostro programma in disegni di legge” perché l’obiettivo “è mettere mano ai veri problemi, che finora si è fatto finta di non vedere”. Bacchettate anche a Pd e Cinque Stelle: “Non mi sembra abbiano tutta ‘sta voglia di fare opposizione”.

Perché?

“Di fronte alla mia proposta di un governo di liberazione – o “governo ombra” – mi sarei aspettato una reazione da parte loro. O una controproposta per farlo insieme. Invece niente. Questo denota la volontà di fare una finta opposizione per continuare a coltivare ognuno il proprio tornaconto”.

Potrebbe invitarli lei.

“Per quanto ci riguarda, non dobbiamo trattare con nessuno. Gli elettori, piaccia o non piaccia, hanno attribuito a noi lo scettro di leader della minoranza”.

Ma questo “governo ombra” come funziona?

“E’ un’operazione impegnativa che, prima d’ora, nessuno in Sicilia s’è assunto la responsabilità di portare avanti. E comunque non saremo l’ombra di Schifani. Conserveremo la nostra identità”.

Ma lei ha sette parlamentari, e gli assessori sono dodici.

“I componenti del governo parallelo saranno tutti ‘esterni’. Non puoi distrarre i parlamentari dell’attività d’aula, né gli assessori dall’attività di governo. E poi, spero non si offenda nessuno, ma sono pochi i parlamentari dotati di una visione tecnica. Mi sarei comportato allo stesso modo se avessimo vinto le elezioni”.

Schifani vuole una giunta di soli eletti, pensi un po’…

“Ha detto una grande puttanata. Credo che se ne renderà conto. D’altronde è da trent’anni che Schifani non vive in Sicilia, non può capire le dinamiche e le sfumature di un parlamento così tosto. Qui non troverà gli strumenti o i numeri del Senato. Dopo questa sparata, gli avranno già fatto capire che così rischia di essere sempre in minoranza. Non tanto in parlamento, dove tutto sommato ci si organizza, quanto nelle commissioni. Vanno gli assessori a presiederle?”.

Com’è andato il pranzo con Micciché?

“Più che di un pranzo strategico, come l’hanno definito alcuni, si è trattato di una rimpatriata”.

Ammetterà che sembra strano.

“Con Miccichè abbiamo fatto un’operazione alle Europee del 2019: è servita a lui e anche alla città di Messina. E’ l’unico con il quale ho mantenuto un dialogo, anche se nel rispetto delle posizioni. Non ci vedevamo da due mesi e quando sono arrivato in parlamento mi è sembrato giusto cercarlo. Poi mi ha ricontattato la sua assistente dicendo che erano a pranzo, così li ho raggiunti. Non era una cosa programmata”.

Avrete parlato anche di politica.

“Abbiamo parlato della situazione post-elettorale. Lui è stato gentile perché mi ha riconosciuto di aver fatto un risultato straordinario, senza un partito alle spalle. L’ho trovato indeciso sul suo futuro: non sa se restare in Sicilia o andare a Roma”.

Ma su una cosa è deciso: vuole l’assessorato alla Sanità per Forza Italia.

“Forza Italia rappresenta il movimento che esprime il presidente della Regione e in Sicilia ha confermato una posizione di tutto rispetto. Che richieda un assessorato pesante e di prima fascia è legittimo. Sul fatto che l’assessore debba farlo lui, non saprei… Non so se è una provocazione per farsi dire ‘no’, o se è una cosa fondata. Conoscendolo, non vedo un Miccichè realmente impegnato su un assessorato così impegnativo. Pure lui ha la sua età”.

Alla Sanità dovrebbe andare un tecnico o un politico?

“Affidarsi ai tecnici, in Sicilia, si è rivelata da sempre una pessima idea. Spesso erano il frutto di decisioni occulte. Io sinceramente non ho ancora capito se Razza fosse un tecnico o un politico. Era l’uno o l’altro in base alla circostanza… Molti problemi della sanità derivano da scelte politiche, non tecniche. Quindi la politica deve uscire allo scoperto e assumersi la responsabilità di risolverli”.

Lei è riuscito a far eleggere un deputato e una senatrice a Roma. Quale sarà la vostra collocazione in parlamento?

“Sto consultando personalmente il regolamento di Camera e Senato per capire se c’è la possibilità di fare un gruppo con altre piccole forze. E devo dirle che si stanno aprendo scenari interessanti. La prossima settimana sarò a Roma per occuparmi di queste dinamiche. L’unica cosa che vorremmo evitare è di intrupparci nel gruppo Misto. Preferiamo preservare la nostra visibilità”.

Votereste la fiducia a un governo Meloni?

“Non abbiamo preso i voti per questo, ma per distinguerci dal centrodestra. Quindi la risposta è no”.

Lei ha deciso se diventare sindaco di Catania o di Taormina?

“Quella di Catania è una battuta venuta fuori durante un’intervista, in cui il giornalista mi fece riflettere che in primavera si vota anche lì. Gli ho risposto che mi aveva messo la pulce nell’orecchio, ma se deciderò di continuare il mio impegno negli enti locali, non potrei mai tradire il consenso avuto dai siciliani. Ho sulle spalle oltre 500 mila voti. Non potrei assumere decisioni che vadano in direzione opposta. Se dovessi vincere le elezioni a Catania, dovrei dimettermi da deputato regionale, e quindi dal ruolo che mi è stato assegnato. Invece la sindacatura di Taormina non mi crea alcun tipo di incompatibilità”.

Quindi, sindaco di Taormina?

“Se permette, non ho ancora rinunciato al mio vero obiettivo: diventare sindaco di Sicilia. Non farò nulla che possa incidere, anche in maniera transitoria, sui miei programmi futuri”.