Il day after dice sostanzialmente una cosa: che nessuno degli alleati è sceso in campo per difendere Nello Musumeci. Nemmeno gli assessori più fedeli (almeno, non pubblicamente). L’intemerata di Matteo Salvini ha fornito al dibattito due elementi: il primo, anticipato da Buttanissima in un articolo dello scorso 5 agosto, è la scelta di Nino Minardo come candidato in pectore; la seconda, invece, riguarda il “metodo”. La scelta del presidente più papabile passerà da un tavolo nazionale: e siccome il Carroccio ha già ceduto tre regioni agli alleati, stavolta non farà sconti.

Musumeci starà maledicendo – si fa per dire – le decisioni che hanno portato alle candidature, entrambe perdenti, di Caldoro (FI) in Campania e di Fitto (FdI) in Puglia. Ma anche la decisione più recente di puntare su altro forzista (Mario Occhiuto) in Calabria. E starà, probabilmente, rimpiangendo di essere rimasto senza un partito di riferimento, che gli coprisse le spalle. L’estate i un anno fa il suo movimento, Diventerà Bellissima, l’aveva convinto a rifiutare l’invito a nozze di Salvini (quando si dice il karma); e solo di recente il colonnello Nello è tornato a legare con Giorgia Meloni, nella speranza di avere da lei quello che il Capitano non gli ha concesso: una federazione. Gli ex missini si sono messi di traverso (ma se ne saprà qualcosa in più sabato prossimo, quando la Giorgia nazionale sarà a Vittoria, nel Ragusano, per un comizio). Per ora, travolto dalle situazioni, Musumeci ha sfruttato inconsapevolmente l’assist di Cateno De Luca (“I suoi stessi alleati gli stanno preparando il funerale politico, e lui sta zitto”), recapitando alla Lega l’invito a uscire dal governo.

Qualche settimana fa al colonnello Nello era rimasto il colpo in canna: l’idea di azzerare la giunta per stanare i partiti – che nessuno per la verità aveva preso sul serio – è abortita nel giro di poche ore. Il presidente vede nemici ovunque, e in effetti non si sbaglia. In parlamento, di recente, se n’erano accorti praticamente tutti. Gli sconquassi nei conti, le impugnative di Roma, la penuria di riforme, ha portato i deputati della maggioranza a prendere materialmente le distanze da questo esecutivo e da questo presidente. Il giorno della mini-riforma dei Forestali, la legge è passata grazie all’opposizione, che ha garantito il numero legale. Musumeci era in aula. I suoi deputati, invece, hanno preferito la campagna elettorale, disperdendosi sul territorio. Sarà sempre così da qui alle prossime Amministrative del 10-11 ottobre (più i ballottaggi), dove il centrodestra si presenta unito solo a Caltagirone. E così potrebbe andare da qui alla fine della legislatura: la maggioranza, stanca e sfilacciata, potrà impegnarsi su proposte “minori”, oltre che per il prossimo Bilancio, giacché per le grandi riforme strutturali occorrono numeri importanti e certezze granitiche che nessuno possiede. Si è passati dai “franchi tiratori”, che hanno annacquato i migliori propositi (come la legge sui rifiuti), all’indifferenza più totale.

Anche alcune manovre sospette, come la decisione di affidare all’assessore Armao il collaudo di una “squadra di lavoro” (o cabina di regia) sulla gestione di una parte dei fondi del Pnrr, ha consumato gli ultimi precari equilibri all’interno della giunta. E ha fatto esplodere i mal di pancia da parte di alcuni fedelissimi (come Lagalla o Falcone). Frizioni che rischiano di ripercuotersi sulla scelta finale, quando ci sarà da decidere chi è dentro e chi è fuori. Gli appelli di Musumeci ad abbandonare l’esecutivo per chi non avesse voglia di sostenerlo – rilanciati da alcuni assessori, tra cui il fedelissimo Manlio Messina – cadranno nel vuoto anche adesso che c’è un bersaglio preciso. Il capogruppo del Carroccio all’Ars, Antonio Catalfamo, ha parlato di reazione “dispotica”. “La Lega vuole lavorare bene con tutta la squadra da qui a fine mandato all’Ars e nel governo regionale – ha risposto invece Minardo – Musumeci stia tranquillo”.

Pure il leader di Forza Italia, Gianfranco Miccichè, su questo punto è stato chiaro: “Musumeci spesso dimentica che il governo non è “suo” ma di chi l’ha fatto eleggere. Di quella coalizione faceva parte anche la Lega. Per cui eviti queste dichiarazioni: dal governo non esce nessuno, perché abbiamo sottoscritto un patto coi siciliani e fino alla fine della legislatura lo onoreremo”. Il presidente dell’Ars, però, ha ribadito i limiti di un governo “presuntuoso e arrogante”. E ha evitato di firmare cambiali in bianco di fronte all’ipotesi di un bis: “Vediamo quale sarà il partito con più voti alle prossime Amministrative: a questo chiederemo di darci una rosa di nomi su cui ragionare”. Segno che Musumeci non è l’unico e solo. Tutt’altro. Da Fratelli d’Italia si registrano semplici dichiarazioni di circostanza, quelle di Salvo Pogliese: “La partita è lunga e l’obiettivo è trovare una sintesi”, ha spiegato il sindaco di Catania. E non scandalizza nemmeno il silenzio (pesante) di Raffaele Stancanelli, che col presidente della Regione è in rotta da tempo.

L’unico a rumoreggiare di gusto è Cateno De Luca, che alla delegittimazione in atto di Musumeci, ha dedicato le ultime dirette Facebook: “S’è scavato la fossa con le sue mani – ha ribadito il sindaco di Messina -. Rasenta l’imbecillità politica al cubo”. E poi, in riferimento alle diatribe interne con la Lega, Scateno ha calcato la mano: “Si stanno scannando fra di loro perché sono coscienti di non aver fatto un cazzo in quattro anni… Anziché ripresentarsi al popolo siciliano, Musumeci si occupi dei cavalli”. L’assalto finale, dove la strategia è fargli terra bruciata intorno, comincerà venerdì prossimo da Taormina, dove il sindaco riunisce 170 amministratori di Sicilia Vera (o aspiranti tali) per l’assemblea del movimento. Al contempo ospiterà politici “di tutto l’arco costituzionale” (tranne uno) per affrontare alcune delle problematiche più sentite: dalla questione dei rifiuti alla spesa dei fondi comunitari.

L’ultimo banco di prova per la tenuta della maggioranza, oltre al voto sulle Amministrative (dove prevalgono le spaccature) sono le nomine. La più succulenta riguarda la Seus, il servizio di emergenza-urgenza del 118, che fino a qualche tempo fa era atissila guida leghista (il lombardo Davide Croce è molto vicino ad Attilio Fontana) e che adesso potrebbe finire a una fedelissima del governatore. Sarebbe un rospo difficile da mandar giù per il Carroccio. Poi si parlerà di Ast, Sas e di Aziende sanitarie: il contratto dei direttori generali va in scadenza la prossima primavera. Saranno mesi di grande congestionamento e di attesa febbrile. Salvini ha già aperto le danze.