La durissima presa di posizione del vescovo di Palermo, Corrado Lorefice, nei confronti di mafiosi e massoni è contenuta in un decreto firmato lo scorso 25 gennaio. In cui Lorefice fa chiarezza sull’ingresso nelle confraternite. Solo chi è specchiato potrà accedervi. Le regole – così stringenti non se n’erano mai viste – partono dalle premesse. Non solo chi la dirige, ma anche chi vuole entrare in una confraternita dovrà produrre “il certificato generale e il certificato dei carichi pendenti del casellario rilasciati in data non anteriore a tre mesi”. Una documentazione che il decreto giudica “essenziale ad attestare l’indubbio percorso di testimonianza dei valori evangelici nella vita civile”. Finora bastavano i certificati di battesimo, di cresima, di matrimonio e lo stato di famiglia.

La documentazione giudiziaria, da sola, non è abbastanza. Una “fedina penale pulita non necessariamente è indice di vita pulita”: per questo parroci e assistenti spirituali dovranno firmare una lettera “che dia sufficienti garanzie circa la retta intenzione del richiedente e la serietà della sua vita, quale condizione essenziale e imprescindibile per l’ammissione nella confraternita”. Inoltre, terminato il noviziato, i parroci dovranno anche rilasciare un attestato di idoneità. Ma Lorefice ha modificato con forza anche lo statuto diocesano per ostacolare l’ingresso di tutti coloro che “che si sono resi colpevoli di reati disonorevoli o che con il loro comportamento provocano scandalo”, chi appartiene ad associazioni di stampo mafioso o di tipo segreto e contrarie ai valori del Vangelo – viene citata anche la massoneria – ma anche chi ha avuto “sentenza di condanna per delitti non colposi passata in giudicato”. E’ prevista la decadenza anche per tutti coloro che, da iscritti, commettono reati di tipo mafioso o chi viene colpito da “provvedimenti cautelari restrittivi della libertà personale” almeno fino “all’accertamento giudiziario della loro condizione”.