La verità, temo, è che Mario Draghi non c’entri nulla con questo paese. Non dico col Parlamento, lo spettacolo d’arte varia di ieri è stupefacente nella sua prevedibilità, e imprevedibile è soltanto lo spunto creativo: non se ci sarà, ma quale sarà. Il premio al miglior fantasista va senza incertezze a Giuseppe Conte, il Capitan Fracassa della sfiducia per sfuggire alla logica della sfiducia, come una settimana fa ha detto la sua capogruppo al Senato, Maria Domenica Castellone. E cioè, non una sfiducia aperta, votata in aula, ma una non fiducia in latitanza, tutti fuori dall’aula, di modo da non dare la fiducia e non dare la sfiducia: ognuno si interpreta come gli pare i Dieci comandamenti, figuriamoci la Costituzione. E così i Cinque stelle sono riusciti a non dare la fiducia al governo, quindi a non darla a ministri grillini, eppure a lasciare i ministri grillini al governo. Quanto amerei esercitare poteri medianici per sentire l’opinione dei costituenti, Umberto Terracini o Benedetto Croce o Alcide De Gasperi, sulle virtù interpretative degli scamiciati successori di oggi.

Siccome il buon esempio è una scocciatura, ma il cattivo esempio una lusinga, la nuova estrosa prassi è stata replicata ieri da Lega e Forza Italia, fuori dal governo ma dentro il governo, un esito impegnativo anche per uno come Silvio Berlusconi se, come suppongo – in dissenso da lui – non è un essere di natura divina con poteri di ubiquità. Stamattina, siccome è una persona seria, Renato Brunetta ha pensato personalmente a come risolvere il paradosso: seguendo l’esempio di ieri di Mariastella Gelmini, ha lasciato Forza Italia. Meglio pochi mesi a sbrigare affari correnti al ministero, cioè in obbedienza al dovere, che un futuro in un partito passato, in fatto di dottrina liberale, da Isaiah Berlin a Licia Ronzulli. Continua su Huffington Post