Anni fa, quando ancora ero uno studente di giurisprudenza, mi insegnarono che la forma garantisce la sostanza. Che, cioè, un risultato, un obiettivo, può essere legittimamente conseguito purché ciò avvenga nel rispetto del complesso di norme e regole che disciplina quel settore. Che il calcio – in generale, ma quello italiano in particolare – guardi se stesso come un porto franco nel quale, più che la legge scritta, vale quella di chi si considera più forte, è un dato di fatto. Ma ci sono confini che non andrebbero mai superati.

Quello che è accaduto negli ultimi giorni con riferimento alla composizione della Serie B, il cui calendario potrebbe avere gli stessi fondamenti, credibilità e autorevolezza dei Protocolli dei Savi di Sion, è stato il classico sconfinamento definitivo di chi è abituato ad operare da impunito. Perdendo contatto con la realtà, in maniera fatale. Io non credo che si sia consumato un complotto ai danni del Catania. Credo piuttosto che una infondata e ingiustificabile volontà di potenza, apparentemente volta alla rivendicazione di interessi economici – peraltro spiccioli – abbia mosso la mano di chi ha fatto della spregiudicatezza il proprio modus operandi. Trovando l’ennesima occasione per mostrarsi come l’agente regolatore del calcio stesso, al quale è meglio accodarsi piuttosto che resistere.

Il fatto che si tratti dello stesso personaggio, che di nome fa Claudio e di cognome Lotito, la cui ingerenza bulimica nel governo del calcio ha prodotto la gestione Tavecchio e la mancata qualificazione al Mondiale, fa solo in modo che la tragedia si trasformi in farsa. Persino un obiettivo condivisibile, come la riduzione della B a venti squadre, è stato asservito alla rivendicazione del proprio potere di veto, condizionamento, della propria potestà di prendere le regole e metterle sotto i piedi, complice la debolezza dei Fabbricini di turno.

Nel momento in cui ricorriamo in tutte le sedi per difendere quella serie B che, regole alla mano, ci spetta, dobbiamo avere chiaro che il vero obiettivo di questa battaglia è la distruzione dell’arroganza del calcio governato dai Claudio Lotito. Un personaggio degno de “Un borghese piccolo piccolo”, che supera in meschinità persino la straordinaria maschera incarnata da Alberto Sordi. Un uomo che si mostra potente ma in realtà cerca di nascondere il proprio senso di inadeguatezza, che frequentava il Transatlantico di Montecitorio per sentirsi uno di loro – dei politici – e non un paria.

Venticinque anni fa lottammo contro l’arroganza di Antonio Matarrese. Oggi ci tocca Lotito. Ma l’obiettivo è sempre lo stesso: riaffermare il principio che il calcio è di chi lo ama, di chi lo segue, non dei piccoli bottegai di palazzo, tanto simili a quei dinosauri che, nello straordinario monologo de “La Meglio Gioventù”, dice il professore interpretato dal grande Mario Schiano allo studente Nicola interpretato da Luigi Lo Cascio, sono da distruggere.