Quarantasette anni e un baccalaureato in Teologia, un passato nel volontariato di matrice cattolica e un’esperienza di lavoro al Nord prima di tornare a Palermo, a occuparsi degli ultimi da assessore alle politiche sociali del Comune di Palermo. Giuseppe Mattina aveva 17 anni quando, a fianco di don Gino Sacchetti, accoglieva a Termini Imerese i tossicodipendenti e cercava di strapparli alla droga. Non erano anni facili, il prete dell’Opera Don Calabria subì diverse intimidazioni, si fece tanti nemici. Per Mattina era la prima esperienza di volontariato, ne sono seguite altre. Impegno che ha trasformato in lavoro. Per anni si è occupato, a Verona, di adolescenti in difficoltà, poi ha scelto di seguire l’inserimento lavorativo di persone fragili come ex detenuti, donne sole e in difficoltà, ex tossici e senza fissa dimora.

Nei giorni caldi (e non solo per le temperature di agosto) delle proteste contro l’assegnazione degli alloggi ai rom del campo della Favorita, mentre ordina un caffè al bar mantiene il sorriso pacato di chi è abituato a muoversi fra la sofferenza e il disagio. In via Felice Emma, alle spalle del Pagliarelli, dove alcune famiglie hanno occupato le case destinate ai rom del dismesso campo della Favorita e i residenti protestano perché non li vogliono, cerca di mediare da giorni.

L’assessore Giuseppe Mattina

Di dismissione del campo rom si parla da anni. Perché farlo adesso? In questo clima era facile che sarebbe scoppiata la protesta ed è altrettanto facile farla passare come episodio di razzismo…

“La dismissione faceva parte del programma del sindaco Orlando che prevede l’inserimento abitativo e sociale di queste persone. Ricordiamo che sono tutti cittadini italiani, hanno la residenza, sono a Palermo da quasi trent’anni, molti lavorano, qualcuno è in pensione, tutti i bambini vanno a scuola. L’amministrazione stava già lavorando alla dismissione, c’è stata una accelerazione legata alla decisione dell’autorità giudiziaria (il sequestro dell’area della Favorita, ndr). Erano già stati individuati i fondi comunitari. Nessuno dell’amministrazione pensa che la protesta sia dettata da razzismo. Da parte nostra avevamo intenzione di coinvolgere i cittadini ma i fatti si sono sviluppati più velocemente. Avevamo programmato incontri con i residenti delle varie zone che stavamo esaminando, la protesta è scattata ancora prima dell’assegnazione ufficiale. Stavamo e stiamo valutando più posti in cui trasferire queste famiglie. La presenza delle maestranze comunali nella zona di via Emma ha fatto scattare la protesta”.

Quanto c’è di pregiudizio e quanto di esasperazione in queste proteste?

“Sono vere entrambe le cose. La Corte europea dei Diritti dell’Uomo ha sancito che quella rom è la minoranza etnica su cui ci sono più pregiudizi ma è pur vero che non si può non occuparsi delle periferie dove per anni la politica, qualunque politica, è stata assente. È necessario però trasformare le difficoltà in opportunità, è la prima lezione di economia civile che impari all’università. Questa è la classica situazione in cui è possibile farlo. L’inserimento di singole famiglie in varie zone potrebbe diventare opportunità. Mi chiedo: è possibile che una città di 600 mila abitanti non sia in grado di integrare 80 persone? L’azione dell’amministrazione però è più ampia. In questi mesi abbiamo cercato di recuperare risorse, realizzare progetti, mettere a sistema il reddito inclusione, abbiamo modificato il sistema dei servizi per renderli più vicini ai cittadini: oggi ci sono quasi 80 milioni di risorse per un piano di contrasto della povertà, buona parte delle gare sono già state pubblicate e di questi fondi 20 milioni sono per le politiche attive del lavoro”.

Per non cadere nel tranello del “prima i palermitani”, come si è arrivati a queste assegnazioni? Secondo quali criteri?

“Una parte di queste famiglie, undici, erano già nella lista dell’emergenza abitativa. Il punto però è che serve un piano personalizzato per ciascuno di loro. I regolamenti sui beni confiscati e sull’emergenza abitative non sono pensati solo in funzione delle graduatorie ma prevedono sistemi per attivare in immediatezza delle soluzioni. Attivare guerre fra poveri serve solo a fare vincere chi non è povero. Sia chiaro: non c’è alcuna differenza fra un palermitano e una famiglia che vive al campo, vanno sostenuti entrambi. Fare differenze è discriminatorio di per sé. La discriminante è solo fra chi vive situazione di estremo disagio e chi no. Ma è tutta la comunità che deve farsene carico. Non solo dei senza casa, ma anche degli anziani, per esempio, o delle donne che subiscono violenza domestica. La fatica più grande non è trovare risorse ma fare crescere il senso di comunità collettiva, non basta l’azione del Comune”.

A Palermo quanti sono i senza casa?

“I cosiddetti homeless, ossia chi non ha una dimora fissa, sono 2.800 persone. Molti però trovano accoglienza alla Caritas, nei dormitori del Comune o da Biagio Conte e in altre strutture. Non sono soluzioni adeguate ma hanno un tetto per la notte. Solo 200 o 300 dormono per strada. Ci sono poi le famiglie in emergenza abitativa, 2 mila nuclei. Tre quarti di questi stanno comunque in qualche posto, spesso non adeguati ma hanno un alloggio. Vivere in un garage in 4 persone non è comunque una soluzione. Molti hanno occupato abusivamente scuole, ex asili. Abbiamo avviato le procedure di gara per tre nuovi dormitori e tre centri diurni, destinati agli homeless. Ci sono poi una serie di iniziative correlate, che partono dalla regolarizzazione degli abusivi che, da anni, hanno occupato edifici pubblici, alleggerendo in questo modo la lista dell’emergenza. Stiamo poi recuperano beni confiscati e attraverso le misure Pon Metro, gli 80 milioni di cui si parlava prima, contrastare l’emergenza abitativa attraverso l’accompagnamento delle famiglie verso l’autonomia. Ma il problema più grosso è quello di costruire questi percorsi perché bisogna essere in due per farlo”.

Significa che ci sono sacche di resistenza di chi continua a scegliere l’assistenzialismo?

“Sì. Le faccio un esempio. L’altro giorno ho detto a una signora: “Cercheremo di fare lavorare duemila persone”. Mi ha risposto: “Manco Berlusconi riceva tante fissarie”. Ecco, è necessario cambiare prospettiva da parte di tutti”.

Regolarizzare gli abusivi non potrebbe incentivare nuove occupazioni?

“Innanzitutto ormai ci sono ben pochi di immobili pubblici da occupare. Per di più la legge stabilisce che chi occupa ora non può essere più sanato. Quelle di cui parliamo sono di situazioni createsi molti anni fa, anche quindici o venti. Come fai oggi a buttarli fuori? Oggi però non pagano un canone, la regolarizzazione li costringerebbe a farlo e chi non paga, quello sì, verrà buttato fuori”.