“A me pare un ottimo presidente di Regione”. Il giudizio lusinghiero su Nello Musumeci è di Giorgia Meloni. L’unica leader che ancora sostiene il governatore uscente. Per il resto, attorno a Musumeci, si snodano le critiche più disparate. Da parte dell’opposizione, come ovvio, ma anche della sua stessa maggioranza. Che non fa mistero di non volerlo più. Secondo Gianfranco Miccichè, contro di lui “vincerebbe anche un gatto”. Per Raffaele Lombardo “è stato allergico a dialogare”.

La partita si gioca lungo due linee parallele che non si incroceranno mai. Anche se gli (ex) alleati dovessero convergere sulla proposta della Meloni, il Musumeci 2.0 partirebbe azzoppato. All’interno di un centrodestra sospettoso, che non esiterebbe un attimo a mettergli i bastoni fra le ruote. Cui prodest? Ma è così che va la politica. Un mondo strano, in cui non serve aver amministrato bene, aver portato a termine le riforme, aver approvato i bilanci in tempo, ma essere vicino a qualcuno di importante. E godere della sua “protezione”. Può valere in un senso e nell’altro, come traspare dall’ultimo passaggio della Meloni a Libero: “Siamo stati sempre disponibili a fare un passo indietro su nostri candidati purché non si mettesse in discussione un principio valso finora: gli uscenti che hanno lavorato bene, non hanno problemi e vogliono ricandidarsi, sono confermati. Oggi si chiede di rimettere in discussione questo principio nel caso di Nello Musumeci, forse colpevole di essersi avvicinato a Fratelli d’Italia”.

Ed è attorno allo snodo dei partiti, ai quali Musumeci, fino a un certo punto, s’è dimostrato allergico, che entra in ballo la rinnovata (s)fiducia. Quanto c’entra l’avvicinamento fra Nello e Fratelli d’Italia nella crociata del centrodestra contro di lui? O, ribaltando la prospettiva: può essere che Musumeci abbia scelto FdI solo allo scopo di essere ricandidato? Domande che non possono esaurirsi in questo luogo. E che trascendono dal vero senso della politica, dove per (ri)guadagnarsi un incarico serve aver fatto qualcosa d’importante. La Meloni non ha un gran polso delle vicende siciliane: non ne cita una. E’ stato La Russa, quindi, a evidenziare i motivi che dovrebbero spingere il governatore verso il bis: “La richiesta di Fdi è legittima perché non c’è una sola regione italiana in cui non sia stato confermato l’uscente. Esistono solo due ragioni perché questa possa accadere. Perché il governatore ha avuto dei problemi giudiziari o perché i sondaggi lo danno nettamente perdente rispetto agli avversari. Non mi sembra che alcuna delle due ipotesi si sia concretizzata”.

Per il colonnello di Giorgia è una questione di sondaggi, tutt’al più una questione morale. Ed è su questo che si focalizza Musumeci quando gli chiedono perché ricandidarsi col rischio di spaccare tutto: “E’ innaturale mettere in discussione un presidente uscente se non ci sono fatti gravi – ha rimarcato l’altro giorno al Corriere della Sera -. Se non dimostreranno che sono socio di Matteo Messina Denaro o che, a differenza di quanto mi risulta, esistono candidati più competitivi di me, non ritirerò la mia candidatura”. Una considerazione (quanto meno) incompleta, che non mette sul piatto i cinque anni di governo, che dimentica di analizzare punti di forza e di debolezza. Che solleva il suo operato dalla critica amministrativa, come se a nessuno importasse nulla di ciò che fa un presidente di Regione, e bastasse essere delle persone perbene per avere la garanzia della poltrona più celebre.

E invece, in queste ore, ha preso a circolare una lettera in cui Lega e Autonomisti, col placet di Micciché, chiedevano ai leader romani di non ricandidare Musumeci per alcuni motivi precisi. Perché, al netto dell’essere con la schiena dritta, “ha scelto e mantenuto un atteggiamento che ne ha molto limitato l’azione politica. Sin da subito si è letteralmente arroccato a palazzo d’Orleans, e, memore forse dello stile del suo predecessore, si è circondato di una sorta di cerchio magico di suggeritori e fedelissimi mettendo in secondo piano e, nei casi estremi, addirittura ignorando il sano confronto con i partiti e con i parlamentari regionali suoi alleati”. Il documento, rimasto nei cassetti, è stato svelato questa mattina da ‘La Sicilia’. Ed è la fotografia di un presidente-imperatore che si avvale della sua corte per raccontare i propri traguardi di carta.

Una corte coalizzata nel partito del presidente, di cui fanno parte quasi tutti gli assessori, ad eccezione di Toni Scilla, miccheiano per vocazione, Alberto Samonà e Antonio Scavone, riferimenti di Lega e Mna. Il resto della squadra è con Nello, e già da mesi si spende per il bis. Manlio Messina, di Fratelli d’Italia, ne ha favorito il riavvicinamento coi vertici del partito, che lo stesso Musumeci aveva rinnegato nell’arco di questa legislatura, accreditandolo del 2 o 3%. Razza e Armao, anche per gli assessorati che gestiscono, sono gli scudieri prediletti. A ruota i ‘ribelli’ di Forza Italia, gli stessi che secondo Micciché “non si sono dimostrati uomini” per non aver rivendicato un’azione di governo a nome del partito. Il presidente dell’Ars, che rappresenta il maggior impedimento per il Nello-bis, in realtà ha chiarito che non c’entra nulla Messina Denaro: “Non ho mai pensato di paragonarlo al boss o a un rubagalline. Dico solo che ha sbagliato metodo”. Mentre negli ultimi giorni, disquisendo con Ignazio La Russa, gli ha proposto un altro confronto: “Altro che Messina Denaro. Musumeci è come Maradona, peccato che non passi mai la palla…”.

Sul concetto di “fare squadra” Musumeci non spiccica verbo. E’ convinto che basti una parolina con l’assessore di turno per ammansire i partiti. Neanche Giorgia Meloni, che si occupa di vicende più alte – e sa bene cosa significhi ignorare gli alleati, giacché da tre mesi non parla con Salvini a causa delle isterie da Quirinale – interviene sulle dinamiche interne del centrodestra siciliano, da cui emergono i motivi per i quali Musumeci non è più considerato un’opportunità (bensì un ostacolo). Poi ci sarebbe tanto altro per farlo vacillare: a partire da una gestione della cosa pubblica che non ha lasciato il segno (tranne per i suoi seguaci, che hanno occupato tutte le posizioni del sottogoverno). Sarà pur vero, come dice La Russa, che non ha fatto disastri e non è colluso con la mafia. Ma i risultati? E le riforme? E la riqualificazione della spesa? E gli investimenti sul turismo? E la politica dei rifiuti? E il rilancio della sanità, al netto della pandemia? Anche dall’ultima Finanziaria, che non è ancora chiaro quando verrà approvata, emerge un deficit di visione e programmazione che la Sicilia non può permettersi. E’ anche per tutto questo che dal centrodestra si levano voci contrarie alla sua conferma: “E’ una scelta perdente”. Ma i sondaggi dicono altro, e per alcuni basta e avanza.