L’impero della fuffa nasce da un’intervista di Ignazio La Russa a Repubblica e si propaga. “Ci sta pensando”. Il soggetto è Nello Musumeci. Il pensiero? Dimettersi e mandare tutti a casa. Il presidente della Regione è talmente posseduto dal demone della sua ricandidatura che sarebbe pronto a sbaraccare tutto per accelerare il ritorno al voto. Un tentativo per mettere gli alleati – che non lo vogliono – con le spalle al muro. E, in parte, per togliere un po’ di tempo anche al centrosinistra, che si avvicina comodamente verso le primarie di inizio luglio. Ma è più la prima, per la verità.

La sbronza del Vinitaly, da intendere in senso lato, è stato un ulteriore elemento di chiarezza nel centrodestra. Ci sono (almeno) due anime, e questo non sembrano disposte a convivere. Da un lato Musumeci e i suoi fedelissimi, tra cui alcuni esponenti di Forza Italia, trainati dalla Meloni; dall’altro Miccichè, Sammartino e i seguaci del ‘no’. In mezzo alcuni distinguo, come la Lega ‘ufficiale’ targata Minardo, che però sarebbe disposta a ingoiare il rospo del bis se non ci fossero altre opzioni.

E’ qui che potrebbe materializzarsi il tentativo di Musumeci. Il cui unico appiglio, in questa fase di legislatura in cui il governo è fermo e non riesce neppure a partorire una Legge di Bilancio, è tenere vivo un fuocherello. Come? Parlando di semine e contadini, inaugurando a destra e a manca, spendendo soldi dell’Europa per finanziare una sterile propaganda. E’ vero che, di solito, un governatore uscente merita la ricandidatura se non ha fatto guai. Ma esiste guaio più grosso di aver smantellato un’intera coalizione di centrodestra per un capriccio? Cioè volersi ricandidare a tutti i costi? Può, una nuova esperienza di governo, cominciare in mezzo alle macerie? Può aver senso, per gli storici alleati, cancellare con un colpo di spugna questi cinque anni di martirio per garantire il consolidamento dei ranghi in vista delle prossime elezioni Politiche?

Forse, può. Nell’ultima intervista al Corriere della Sera, Micciché ha spiegato che “il destino di una persona sta tenendo in ostaggio tutto il centrodestra” e che, comunque, lui sarebbe disposto ad “obbedire” se glielo chiedessero Salvini e Berlusconi. Questa potrebbe essere l’extrema ratio. Ma mandare tutti a casa e sciogliere il parlamento in anticipo (il 15 giugno i deputati alla prima legislatura maturano la pensione), indire le Regionali in occasione dell’Election Day (quando già si vota per le Amministrative e cinque quesiti referendari) o il 26 giugno, giorno degli eventuali ballottaggi, in barba a qualsiasi presupposto giuridico e senza poter assicurare il corretto svolgimento della campagna elettorale, sembra un azzardo incommentabile. Può davvero un presidente spingersi a tutto questo, generando il caos, solo per il gusto di riprovarci? No, non può.