La bellezza stupefacente di Noto, quest’estate, ha conosciuto il risvolto della medaglia. Le strade e le campagne infestate da rifiuti, infatti, hanno catturato l’attenzione di Selvaggia Lucarelli, giornalista del Fatto quotidiano, che ha riacceso i riflettori su un problema che la Sicilia trascura – come gli altri, del resto – fino alla dichiarazione conclamata d’emergenza. Sempre quest’estate il presidente Musumeci ha avanzato al governo centrale richieste di ogni tipo: dalla convocazione dell’unità di crisi nazionale per la cenere dell’Etna, passando per la mobilitazione nazionale di Protezione civile per lo spegnimento degli incendi. Di tutto e di più, compreso l’intervento dell’esercito per contrastare sul nascere l’avanzata dei roghi. O, proprio l’altro ieri, la richiesta all’Unione Europea affinché riconosca la caduta di cenere e lapilli come “calamità nazionale” e apra i cordoni della borsa per “dare risposte immediate e congrue a sindaci e cittadini”. Il governatore si è adoperato per tamponare le stesse emergenze che non si possono o non si riescono a prevenire, mentre sulla crisi dei rifiuti ha un po’ nicchiato.

Sembrava poter esplodere da un momento all’altro, ma la ‘resistenza’ della discarica di Lentini, che tutt’oggi continua a garantire il servizio (sebbene a regime ridotto), ha impedito che la raccolta e il conferimento della monnezza potesse andare in tilt. Al resto ha pensato Selvaggia, denunciando la situazione da terzo mondo delle discariche abusive (nemmeno tanto micro) in provincia di Siracusa. Ma anche altrove: ne esistono a tutte le latitudini, da Ragusa a Palermo. Nel comune capoluogo, a cavallo di Ferragosto, si erano accumulate sui marciapiedi fino a 700 tonnellate di monnezza: uno scempio per gli occhi e per l’olfatto. La Rap, reduce da una doppia crisi (di liquidità e della governance), è riuscita a sopperire in tempo, evitando l’ennesimo sputtanamento da parte della giornalista-influencer, che invece ha preferito soffermarsi sulla devastazione dei cimiteri. Poco male, anche se il trauma della spazzatura ci accompagnerà per molto.

A Palermo – almeno – fino ai prossimi quattro mesi, quando la discarica di Bellolampo dovrebbe vedere sorgere (almeno) un pezzo della nuova vasca. La settima. Qualche giorno fa la Regione ha consegnato i lavori a un’Ati che si era aggiudicata la gara d’appalto. L’opera, progettata dalla Rap (società in house del Comune che gestisce i rifiuti a Palermo), ha una capacità di stoccaggio di circa un milione di metri cubi, un sistema di raccolta del percolato ed è dotata di un sistema di controllo geotermico e di un monitoraggio ambientale finalizzato a impedire eventuali fenomeni di inquinamento. Il completamento di una prima parte della vasca è previsto nei prossimi 4 mesi, così da poterne consentirne un utilizzo almeno parziale. Mentre i lavori dovrebbero terminare entro ulteriori sette mesi. I rifiuti saranno preventivamente trattati nel limitrofo ed esistente impianto per il trattamento meccanico biologico. “L’implementazione degli impianti rappresenta una condizione necessaria, ma non sufficiente – ha ammesso il neo assessore regionale all’Energia, Daniela Baglieri – per la gestione del ciclo di smaltimento della spazzatura. Adesso è nostro compito monitorare l’iter programmato dei lavori per la realizzazione dell’intervento nei tempi stabiliti”.

Qualcosa si muove, ma non basta: mentre il centro storico delle città piccole e grandi è salvaguardato alle amministrazioni comunali, grazie alle ditte aggiudicatarie del servizio (Palermo, talvolta, rappresenta un’eccezione a questa ‘regola’), è più difficile esercitare un controllo capillare in periferia e nelle zone di campagna. Distese immense che anche i turisti percorrono per spostarsi, in estate, da una località all’altra. La provincia di Siracusa, anche sul versante che collega Marzamemi e Portopalo di Capo Passero, è un ricettacolo nauseabondo di sacchetti e ingombranti. Mentre le discariche abusive di Noto, dopo le denunce sui social, sono state ripulite in fretta e furia. Non basta. Perché di fronte a una questione così penalizzante per l’immagine della nostra terra, servirebbe una pianificazione organica che coinvolga, oltre alle Regioni, anche gli enti locali. Soprattutto nelle aree metropolitane. Da metà settembre l’assessore Baglieri incontrerà i sindaci (ha già avuto modo di confrontarsi con Orlando prima delle ferie) per conoscere la capacità progettuale dei comuni e le eventuali strategie di utilizzo dei finanziamenti previsti dalla programmazione europea 2021-27.

Nel frattempo sta già valutando un modo per togliere la spazzatura dalle strade (compito che originariamente era ricoperto dalle province, poi cancellate): “Le aree altamente turistiche in Sicilia scontano il fenomeno dell’abusivismo che, a sua volta, incide negativamente anche sul settore rifiuti – ha detto la Baglieri qualche giorno fa – A ciò si aggiunge la mancanza di cassonetti che seppur in contro tendenza, rispetto alle strategia di raccolta più diffusa, rimane tuttavia uno strumento utile per contrastare in determinate aree, dove si creano micro discariche abusive. La risoluzione del problema richiede, nel breve termine, azioni legate all’installazione di cassonetti intelligenti, maggiore vigilanza e controllo sociale svolto anche dalle associazioni presenti sul territorio. Sono tuttavia consapevole che queste azioni saranno vanificate se non accompagnate da una progettualità di più ampio respiro”.

E’ al vaglio la creazione di un osservatorio regionale, fermo restando le competenze di Comuni e Aro (gli ambiti di raccolta ottimale) nell’individuazione degli interventi e nella gestione degli appalti. Il coinvolgimento della Regione, però, avrebbe anche una funzione di vigilanza e pianificazione, dato che i dubbi maggiori riguardano le aree a grosso impatto turistico – come Noto – durante i mesi caldi. L’obiettivo, banalizzando la questione, è non farsi trovare impreparati di fronte alla Selvaggia di turno. Liberare le piazzole, che diventano deposito di ingombranti; istituire nuove modalità di conferimento nelle isole ecologiche, che diverrebbero zone franche e accessibili soltanto ai residenti possessori di card. Si tratta, comunque, di work in progress.

Un’altra questione da affrontare è quella relativa ai termovalorizzatori. La creazione di impianti di incenerimento non rientra fra le priorità del piano dei rifiuti adottato dalla giunta dopo una lunghissima gestazione (e il parere del Cga). Ma costituisce, tuttavia, un’alternativa alle discariche. Per questo, dopo un lungo tira e molla anche di natura ideologica, il governo Musumeci, attraverso il dipartimento Acqua e Rifiuti, il 17 giugno scorso ha pubblicato un Avviso per l’affidamento in concessione della “progettazione, costruzione e successiva gestione fino a due impianti per il recupero energetico da rifiuti non pericolosi”. I termoutilizzatori – è così che hanno scelto di chiamarli – dovranno avere, ciascuno, una capacità di trattamento da 350 a 450 mila tonnellate all’anno di rifiuti indifferenziabili e saranno situati: uno in Sicilia occidentale (nelle province di Agrigento, Caltanissetta, Palermo o Trapani) e l’altro nella zona orientale (Catania, Enna, Messina, Ragusa e Siracusa).

A distanza di due mesi e mezzo, però, non è arrivata alcuna dichiarazione d’interesse, bensì otto richieste di chiarimenti da parte di aziende private (alcune straniere). I tempi per la presentazione dei documenti necessari, così, si sono allungati. La nuova scadenza è fissata al 2 novembre. Al termine di questo periodo verrà nominata una commissione per la valutazione della proposta tecnologica. “Musumeci, l’uomo che diceva “mai più le mani dei privati sui rifiuti” – è il commento di Giampiero Trizzino, del Movimento 5 Stelle – riceve una nuova batosta e questa volta non dai gruppi politici di minoranza, non dalle associazioni ambientaliste… ma dagli stessi privati, che prima rinnega e poi rincorre. E’ il colmo dei colmi. Se non ci trovassimo in una situazione drammatica, potremmo addirittura riderci sopra. Quattro anni di governo, zero soluzioni”.

Le ultime due questioni riguardano, per ordine di importanza, il trasferimento dei rifiuti all’estero – anche in questo caso promossa dalla Regione – e l’approvazione del disegno di legge sugli ambiti territoriali, ancora impantanata all’Ars. La prima, secondo quanto filtra da palazzo d’Orleans, non è più dirimente. Era nata in un periodo particolare (la paventata chiusura della discarica di Lentini, che serviva circa 200 comuni) quando si era posta come necessaria l’esistenza di un piano-B. Ma vista la difficoltà nell’utilizzare i fondi europei per spedire i rifiuti fuori dall’Isola, e il rischio annunciato di nuovi aumenti in bolletta a carico dei cittadini, per il momento è stata accantonata. E nessuno si straccerà le vesti, anzi.

Mentre sulla riforma della governance è tutto fermo: dopo la bocciatura dell’articolo 1 in aula, nel novembre 2019, la proposta è stata ulteriormente modificata in commissione. Manca, però, la quadra. Pd e Cinque Stelle contestano l’impostazione originaria, ed evidenziano i rischi di tale condotta: la violazione del principio di prossimità, la suddivisione degli ambiti su base provinciale e il tempo necessario a far transitare il personale dalle Srr, un soggetto diritto privato, alle Ada, il nuovo soggetto di diritto pubblico: tramite concorso o cosa? Per questo, assieme ad alcune associazioni ambientaliste, hanno chiesto al governo di correggere gli errori più eclatanti della legge n.9/2010, risalente agli anni di Lombardo: “Intanto – ha spiegato Trizzino – accelerando i processi di gara per la realizzazione degli impianti, e poi facendo confluire la gestione delle liquidazioni delle ex Ato presso un organismo unico che già esiste (l’ufficio speciale per la chiusura delle liquidazioni istituito presso l’assessorato all’Economia, ndr)”.

Restano alcuni dati: la differenziata, che a livello regionale ha raggiunto il 42%, ma nelle grandi aree metropolitane non ingrana; la carenza di impiantistica pubblica (a Trapani è in corso l’espropriazione dei terreni per realizzare una discarica); l’enorme giro d’affari che coinvolge i privati. Un aspetto che, di fatto, fossilizza il sistema. E poi c’è l’immagine più crudele: la monnezza sulle strade. Per rimuoverla non basterebbe nemmeno l’esercito.