Diecimila persone (secondo gli organizzatori) hanno manifestato giovedì mattina in piazza Verdi, a Palermo, contro le politiche del governo Draghi, troppo poco attento alle esigenze dei lavoratori e degli “ultimi”. Ma nello sciopero generale indetto da Cgil e Uil si scorgono anche delle motivazioni siciliane. Inerenti all’occupazione, alla riforma della pubblica amministrazione e alla gestione del ciclo dei rifiuti, alla sanità, al rilancio del turismo. “Abbiamo avuto una risposta importante – spiega il segretario della Cgil Sicilia, Alfio Mannino -: non tanto e non solo dalla piazza, ch’era piena oltre ogni aspettativa; ma dal fatto che tantissimi lavoratori, soprattutto del settore dei trasporti e dell’industria, abbia deciso di scioperare, rimettendoci di tasca propria, per l’affermazione di un’idea”.

Qual è l’idea?

“Di idee ce ne sono tante, specie in Sicilia. Servono una riforma della pubblica amministrazione e un nuovo modello di sviluppo”.

A questo torniamo fra un attimo. Mi dica, però, i motivi dello sciopero contro il governo Draghi.

“Nella manovra in discussione non notiamo un’inversione di tendenza”.

Veniamo fuori da una pandemia.

“La verità è che c’è tanto malessere, soprattutto in Sicilia e nel Mezzogiorno. Questo malessere ha bisogno di essere interpretato e avere delle risposte. Purtroppo la pandemia ci consegna un Paese ancora più diseguale, e importanti fette della popolazione – penso ai giovani e alle donne – si sentono emarginate. Non è un caso che in piazza non ci fossero studenti, ma ‘giovani’. Soprattutto precari”.

Cosa significa?

“Che quella parte di lavoratori che sconta il peso delle diseguaglianze, vuole rendersi protagonista di una stagione nuova. E’ chiaro: non poteva essere una singola manovra economica a dare le risposte che servono all’Italia, ma un’inversione di tendenza ci vuole”.

Alcuni partiti politici vi accusano di avere bloccato l’Italia in una fase d’emergenza.

“La politica dovrebbe farsi un’altra domanda: perché nelle ultime tornate elettorali, soprattutto nelle aree periferiche e marginali del nostro Paese, si sono raggiunti picchi d’astensione drammatici; e, invece, nel momento in cui chiamiamo i lavoratori alla mobilitazione, le piazze si riempiono? Evidentemente c’è un pezzo della politica che non riesce più a interpretare i bisogni dei cittadini. Non è uno sciopero a dividere un Paese, ma le scelte politiche inadeguate”.

Quali sono le principali urgenze in Sicilia?

“Glielo dicevo all’inizio. Per rimettere in moto il sistema Sicilia serve immediatamente una riforma della pubblica amministrazione. E’ uno degli asset cruciali per ripartire. Solo una burocrazia efficiente ci consente di drenare le risorse europee, di mettere in campo una corretta programmazione economica, di sburocratizzare e accelerare i progetti d’investimento. E poi c’è un effetto diretto: puntare su assunzioni e nuovi ingressi, specie nei settori più innovativi, significa dare alle intelligenze migliori della nostra regione l’opportunità di costruirsi qui il proprio futuro”.

All’inizio accennava a un’idea di sviluppo. Qual è la vostra?

“Noi non siamo soltanto il sindacato della protesta, ma anche quello della proposta. Quello che ha presentato un piano per il lavoro; una riforma organica del ciclo dei rifiuti; un progetto per ricostruire l’assetto istituzionale che tiene uniti la Regione, le province e i comuni. Peccato che, al netto di qualche incontro di natura formale, il presidente e la sua giunta non abbiano mai accolto le nostre sollecitazioni”.

Questo cosa significa?

“Che probabilmente il governo è impegnato su altre questioni. O, comunque, che il ceto politico siciliano non ha al centro della sua azione la qualità e la dignità del lavoro, bensì l’occupazione degli spazi di potere. Non possiamo accettare una politica che osserva solo il proprio ombelico e si muove per interessi di parte. E soprattutto non possiamo immaginare una Regione che nei prossimi 12 mesi resti paralizzata dalla campagna elettorale. Altrimenti rischiamo di perdere il treno del Pnrr. Sta già accadendo…”.

Però assumere, stabilizzare, prorogare fa parte di un processo che si attiva soltanto con la campagna elettorale alle porte. Sarà mica un caso?

“Bisogna andare oltre questo motivetto… Noi non abbiamo bisogno di fare assunzioni e basta. Ma di fare assunzioni che abbiano un senso. Per questo parliamo di rigenerazione della pubblica amministrazione. Se si mettono a bando 1.000 posti per i centri per l’impiego senza aver modificato radicalmente il mercato del lavoro o l’incrocio tra domanda e offerta, non stiamo facendo un servizio utile. Servono profili adeguati”.

Secondo lei servono ancora a qualcosa le ex province?

“Non serve discuterne utilizzando il taglio di questi giorni… Più che parlare di come si eleggono gli organismi, è utile ridefinire ruoli e funzioni che consentano a Liberi Consorzi e Città Metropolitane di gestire servizi sovracomunali e riprogrammare determinati ambiti: penso ai rifiuti, all’acqua, alle strade secondarie. Dopo di che, vanno assegnate loro le risorse per funzionare”.

L’attualità è un’altra.

“Non è accettabile che ormai da nove anni – prima con Crocetta, adesso con Musumeci – restiamo impelagati sulle modalità di elezione degli organismi provinciali. E’ più importante capire cosa fanno questi enti”.

Siamo in attesa delle variazioni di Bilancio. E di 66 milioni che Roma dovrebbe liberare nelle prossime ore. Questa tendenza a presentarsi col piattino in mano, ma senza fare i compiti a casa, quanto danneggia la Regione?

“La Sicilia avrebbe uno strumento importante per contrattare con Roma: cioè ridiscutere gli articoli 36 e 37 dello Statuto e “trattare” sulle imposte di produzione. Non è possibile che le grandi aziende, a partire da quelle petrolifere, producano in Sicilia senza che la Regione ne abbia alcun ritorno. Ma il tema più importante, che va sanato, riguarda la situazione economico-finanziaria. Serve un’operazione verità che faccia emergere la reale condizione del nostro Bilancio. Non possiamo sostenere di aver risolto i problemi del mondo e barcollare al momento della verifica. La Corte dei Conti ha più volte rilevato che la situazione contabile non è coerente rispetto ai dati forniti. Fin qui abbiamo avuto una gestione scriteriata. Serve trasparenza”.

E dopo che succede?

“Bisogna aprire una discussione con Roma lungo due direttrici: la riqualificazione della spesa, laddove necessario; e la rideterminazione del nostro fabbisogno. Se in questi anni il governo Musumeci ha faticato a interloquire con i governi nazionali di diverso colore, un motivo ci sarà. Non può essere sempre colpa degli altri”.