Se fossi socio onorario dell’antimafia chiodata – quella che vede nel sospetto un’anticamera della verità – mi porrei su Palermo una domanda. Come mai in una città con le finanze devastate e sotto inchiesta della magistratura, con il fallimento alle porte, con i servizi incapaci di assicurare un minimo di decenza, con la monnezza che ormai invade quasi tutte le strade, con i cimiteri che non sanno più garantire pietà ai morti e ai vivi che li piangono, come mai, si diceva, c’è una forsennata corsa a conquistare i posti di comando?

Mai visti tanti candidati sindaci. Mai vista una lotta così violenta per accaparrarsi le poltrone di Palazzo delle Aquile. Mai vista una lotta fratricida come quella interna al centrodestra dove tutti, alla fine, hanno fatto, volenti o nolenti, un passo indietro per lasciare spazio all’ex rettore Roberto Lagalla. Amore disinteressato per Palermo o “consigli che non si potevano rifiutare”, come ha dichiarato Francesco Cascio, quando è stato costretto a strappare i mille e mille manifesti che univano la sua faccia allo slogan “Ne avrò cura”?

Che Lagalla sia una persona al di sopra di ogni sospetto non c’è dubbio: sa che cos’è la responsabilità di governo e lo ha dimostrato sia quando si è trovato alla guida della più importante università della Sicilia, sia quando è stato assessore con Totò Cuffaro presidente della Regione, sia quando ha occupato lo stesso incarico nella giunta di Nello Musumeci. Da dove arriva allora l’odore di fritto che avvolge tutta questa operazione, spinta con le mani e con i denti da Giorgia Meloni e dal suo fidatissimo Ignazio La Russa, fortissimamente voluta da Marcello Dell’Utri e da Lorenzo Cesa, e poi accettata obtorto collo dalla Lega e dai forzisti di Gianfranco Miccichè?

“Lo abbiamo fatto perché il centrodestra unito vincerà certamente la partita e potrà governare Palermo nei prossimi cinque anni”, ripetono in coro tutti i protagonisti della battaglia. Ma vinceranno per fare che cosa? Per restituire Palermo alle sue bellezze e alla sua civiltà, ai suoi fasti e alla sua memoria più prestigiosa?

La politica – diciamolo – raramente vive di sentimenti. Vincere le elezioni in questa città comporterà, soprattutto nei primi mesi, una discesa agli inferi: un viaggio nei gironi roventi dei disservizi, delle casse vuote, delle periferie abbandonate e inferocite. In cambio di quali vantaggi o di quali utilità? Qual è il misterioso oggetto del desiderio che unisce gli zelanti patrioti e i colonnelli accampati all’Hotel des Palmes per controllare da vicino ogni passaggio della campagna elettorale, per marcare a uomo ogni candidato, per evitare che non ci siano colpi di coda né colpi di testa?

Si possono solo formulare ipotesi, ovviamente. Ma guardando la ciurma di picciotti e picciottazzi che fanno da corona a questa singolare alleanza di partiti, salta all’occhio il Bullo, quell’avventuriero che da quasi vent’anni gironzola tra le pieghe più oscure della politica siciliana per agguantare consulenze, intermediazioni, affari. Se c’è lui, è certo che sotto dev’esserci un intrigo. Lui ha la stessa funzione di quei cani, soprattutto cirnechi, che appena annusano una preda cominciano a scodinzolare selvaggiamente e offrono al cacciatore la certezza che lì c’è la tana e che dentro la tana c’è il coniglio. E qual è l’affare più consistente che si prospetta nei prossimi cinque anni a Palazzo delle Aquile?

Non sapendo come finirà alla Regione – le elezioni sono a novembre, non si sbloccherà nulla fino al 2023 – i maggiorenti della confraternita potranno insediare a Palermo una mirabolante Centrale Unica della Committenza. La legge ora lo consente: dice che la Cuc – il colossale centro di potere attualmente nelle esclusive e ferrigne mani della Regione – potrà essere decentrata nelle Città Metropolitane. E Palermo lo è. Pensate alle prospettive che si aprono. Nella Centrale Unica di Palermo confluiranno tutti gli appalti, da quelli previsti dal Pnrr, che è il piano di rinascita e resilienza, a quelli dei comuni, delle Aziende sanitarie, degli ospedali, di enti e strutture pubbliche. Palermo diventerà la Mecca per quel mondo sommerso dove si intessono trame legali e illegali, dove gli affari si saldano con la malavita, dove la mafia trova sempre un modo per imporre le sue regole e le sue tangenti. Allegria. Lo sperticato amore per Palermo non sempre è un atto di generosità.