Sul profilo social di Fratelli d’Italia, che, stando a Ipsos, si appresta a superare Pd e Cinque Stelle nei sondaggi (è al 18%), campeggia da un paio di giorni un fotomontaggio: una sorta di rassegna stampa, molto siciliana, che evidenzia il fallimento del reddito di cittadinanza. E una nota a margine: grillini, vergogna. L’esperienza del sussidio, di recente, ha fatto registrare un altro scandalo: questa volta non riguarda il classico “lavoratore in nero” (ma anche gli spaccaossa palermitani lo percepivano) che intasca l’assegno senza averne diritto. Bensì un pregiudicato: tale Pietro Maso, che nel 1991 a Montecchia di Crosara (in provincia di Verona), uccise e i genitori a colpi di spranga nel tentativo di impossessarsi dell’eredità. Maso, libero dal 2015, secondo il settimanale ‘Oggi’ avrebbe incassato il reddito minimo per tutto il 2019. Il suo nome, infatti, risulta presente nelle liste. Anche se il beneficio, in realtà, non toccherebbe a chi è interdetto in perpetuo dai pubblici uffici. Come nel caso di Maso, che ha subito una condanna a trent’anni e la cui vicenda giudiziaria è molto grave.

Un caso simile a quello di Federica Saraceni, la brigatista che fu condannata a 21 anni e 6 mesi per l’omicidio del giuslavorista Massimo D’Antona, e che si è scoperto beneficiare dell’assegno di Stato. Vive tuttora ai domiciliari, ma per l’Inps è tutto apposto: i requisiti ci sono. Le maglie del reddito di cittadinanza, però, sono talmente larghe che è facile infiltrarsi. E’ meno semplice, invece, la transizione dalla fase-1, quella in cui si percepiscono i soldi, e la fase-3, in cui i beneficiari sarebbero tenuti a recarsi nei Centri per l’Impiego e accettare le proposte di lavoro. Tra queste due fasi c’è in mezzo un mondo: quello dei “divanisti”. I mantenuti di Stato fiutano la convenienza: è più facile rimanere a casa a 800 euro al mese, che lavorare per 1000. E qui il meccanismo s’inceppa.

Anche il Coronavirus, in questi mesi, ha reso tutto più ozioso. Per gli effetti del lockdown, infatti, dal 15 marzo al 17 luglio sono state sospese le “condizionalità” che imponevano ai percettori di accettare almeno una delle prime tre offerte di lavoro recapitategli dai navigator (che hanno continuato a lavorare in modalità ‘lavoro agile’). Il mancato obbligo di presentarsi agli sportelli e firmare il Patto per il lavoro – chiaramente – è stato un privilegio indotto. Ma è andato in archivio nei giorni scorsi. Questa enorme platea di italiani (2,5 milioni) e siciliani (a marzo erano 453 mila) rimasti senza lavoro, devono cominciare a dare prova di buona volontà. In caso contrario, rischiano di incorrere in sanzioni e di perdere il beneficio. Gli obblighi tornati in vigore riguardano: la registrazione su MyAnpal, la piattaforma digitale per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro; svolgere una ricerca attiva del lavoro; accettare di essere avviato alle attività individuate nel Patto per il Lavoro; sostenere colloqui psicoattitudinali e le eventuali prove di selezione finalizzate all’assunzione; accettare almeno una di tre offerte di lavoro definite congrue. Comprese quelle lontane da casa.

Una delle proposte che scalfirà la siesta degli ‘inoccupati’, arriverà dai comuni. Per il tramite della Regione, che nei giorni scorsi ha avviato la fase-3 del reddito di cittadinanza, ossia quelle che consente agli enti locali di impiegare i percettori in lavori di pubblica utilità, anche nelle spiagge (dove va garantito il distanziamento di sdraio e ombrelloni). Gli uffici dei Servizi sociali dovranno preparare progetti di carattere “culturale, sociale, artistico, ambientale, formativo e di tutela dei beni comuni”, da svolgere “nei mercati, nei musei, nelle aree verdi e nelle spiagge”. Mentre toccherà ai Centri per l’Impiego indicare nome e cognome del “neo-assunto”.

La Regione, in questi giorni, ha preparato una lista con 53 mila nominativi da diramare ai Cpi, ma non è detto che tutti quanti possano prestare servizio da subito. In tal caso verrà stilata una graduatoria. Molto dipende dal numero di progetti che verrà presentata – quindi dalla predisposizione dei sindaci ad allestire la macchina comunale, e si sa che la burocrazia non facilita mai nulla – ma anche dalla capacità di palazzo d’Orleans di versare nelle casse dei Comuni una cifra congrua per l’avvio dei progetti: si parla di 46 milioni di euro, provenienti dal Fondo Povertà (che per il 2020 ne prevede, complessivamente, 587). Anche i Puc, progetti utili alla collettività, hanno un costo.

Uno dei primi a sollecitare questo genere d’intervento era stato il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, che nei mesi scorsi aveva annunciato di voler avviare al volontariato circa 12 mila disoccupati. “E’ un modo per intervenire ancora una volta in materia di sicurezza in città – disse il “professore” -. Sicurezza intesa come garanzia di servizi ai cittadini e miglioramento della vivibilità su diversi fronti”. Dai mercati agli spazi culturali, passando per le aree verdi. Più in generale, l’assessore regionale al Lavoro, Antonio Scavone, ha fissato le linee guida per questi lavoratori: saranno impiegati dalle 8 alle 15 ore settimanali. “Il beneficiario del reddito di cittadinanza è tenuto ad offrire, nell’ambito del patto per il lavoro e del patto per l’inclusione sociale, la propria disponibilità alla partecipazione”. Insomma, nessuno può più rifiutarsi. La chiamata del proprio Comune equivale a quella di un’azienda. Lo Stato ti sostiene, ma non per stare sul divano.

E’ chiaro: i guadagni sono un’altra cosa e devono attendere. Ma il governo Conte, per accentuare questa dannata voglia di rimettersi sul mercato, ha trovato un altro stratagemma. Il reddito di cittadinanza, infatti, non sempre decade se si accetta una delle offerte di lavoro congrue. Se bisogna trasferirsi oltre i 250 chilometri dal Comune di residenza (una fattispecie imposta dalla “terza chiama”), i pagamenti continueranno ad essere erogati per altri tre mesi. Secondo l’articolo 4, comma 10, del decreto 4/2019, il beneficiario continua a percepire il reddito di cittadinanza a titolo di compensazione delle spese di trasferimento sostenute. La situazione è ancora più vantaggiosa per i nuclei familiari con minorenni o con componenti con disabilità che continueranno a percepire il reddito di cittadinanza per altri dodici mesi dall’accettazione. Per tutti questi, l’importo del sussidio non cambierà ed andrà ad aggiungersi allo stipendio. A quel punto lavorare converrà davvero.

Nell’Isola i numeri non sembrerebbero così male, almeno in relazione al quadro generale. Come comunicato qualche settimana fa dall’Anpal – l’agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, legata al Ministero della catanese Nunzia Catalfo – la Sicilia risulta la prima regione per occupati titolari di Reddito di Cittadinanza: 14.984 a marzo, pari al 16,1%. Su 453.870 percettori a marzo (ma oggi sono oltre mezzo milioni) circa la metà avrebbe dovuto stipulare il Patto per il lavoro, 210.870. Ma, tolti 13.230 esonerati, 7.588 inviati ai servizi sociali e 17.899 che hanno abbandonato (il numero più alto d’Italia), il bacino degli occupabili si è ridotto a 172.153. La metà, 93.243, ha sottoscritto il Patto e, come detto, per 14.984 è stato acceso un rapporto di lavoro.

Di questi 15 mila contratti (o quasi), solo il 18,7% è a tempo indeterminato, mentre il 69,3% è a termine e il 15% in somministrazione o altre forme precarie. Tuttavia, come aveva confermato a Buttanissima la responsabile di Anpal Sicilia, Patrizia Caudullo, anche i navigator hanno avuto una ricaduta ‘onesta’ sulle sorti dei mantenuti: nei mesi del “lockdown”, infatti, si sono occupati di 73.235 Patti per il lavoro: hanno convocato, cioè, per l’incontro online 64.695 soggetti (3.075 quelli che non hanno risposto). I Piani personalizzati già attivati sono 51.645. Su questa base di partenza, hanno proposto a 1.946 soggetti delle misure di politica attiva (940 con esito positivo), a 13.904 un percorso formativo (3.242 con esito positivo), a 12.942 una proposta di lavoro (1.118 con successo). Mentre 1.570 beneficiari hanno chiesto assistenza per avviare percorsi di autoimpiego.

Un grosso freno è rappresentato dall’istruzione scolastica: tantissimi siciliani, infatti, dovranno rimettersi al passo – almeno – con la licenza media. Questo ingolfa il meccanismo e non depone a favore dei numeri. “Purtroppo – diceva la Caudullo – molti dei beneficiari non sono mai passati dai servizi sociali né dai centri per l’impiego, per cui vanno coinvolti praticamente da zero nel nostro sistema sociale”. Si chiama inclusione. Aiuta a rimettere in moto le sorti di una Regione poverissima, che offre possibilità limitate. Che per questo motivo non ha molto da chiedere ai propri figli, se non uno scatto d’orgoglio e riprendere a studiare.