Da oggi Fratelli d’Italia è un po’ più povera – dell’esperienza amministrativa di Raffaele Stancanelli e del suo zoccolo duro, che ha accolto con entusiasmo la decisione di candidarsi con la Lega – ma è anche più vicina a ciò che vorrebbe diventare, e in parte è già diventata. Un partito dirigistico, con poco spazio per i moderati e i non allineati; il principale strumento di accesso al potere, grazie al quale guadagnare visibilità e (forse) consensi. In Sicilia l’eminenza grigia è Manlio Messina, vicecapogruppo di FdI alla Camera, ma soprattutto esponente di rango della corrente turistica che si snoda dal ministro Lollobrigida in giù.

L’ex assessore di Musumeci, oggi front-man televisivo, è di fatto il referente “unico” dei patrioti siciliani e anche uno di quelli che qualche mese fa aveva palesato una profonda insofferenza nei confronti di Stancanelli. Sarebbe bastato un suo cenno per evitare di disperdere “un patrimonio di esperienza” (come l’ha definito Salvini). Ma quel cenno non è mai arrivato e così un pezzo di storia della destra siciliana andrà a fare scuola, e catalizzare voti, altrove. Per troppo tempo Messina e Stancanelli hanno viaggiato su rette parallele. Dopo l’ultimo congresso catanese, quando l’eurodeputato annunciò il passo di lato, fu accolto da un silenzio poco riconoscente e quasi liberatorio. Ma non ha mai reagito, e anche nell’ultima intervista concessa a ‘La Sicilia’, ha evitato ogni tipo di polemica: “Se ero diventato un peso, alla fine li ho tolti io stesso dall’imbarazzo. Ho sempre consumato correttamente tutti i passaggi, politici e umani, nel partito. E non ho nulla da aggiungere rispetto a quello che ho già scritto, in via ufficiale ma riservata, a chi di competenza”.

Non avrebbe avuto senso esacerbare il livello di uno scontro che non si è mai alimentato davvero. Perché Stancanelli ha incassato i colpi bassi -compresi quelli dell’ex amico Ignazio La Russa- cercando un’alternativa e siglando un nuovo accordo coi siciliani (in un partito diverso); Messina, invece, ha continuato scientemente a muovere i fili da lontano, “ingaggiando” persone e cose per rendere inespugnabile il suo fortino. Attraverso Galvagno, il presidente dell’Assemblea regionale, ha finito per opzionare la guida della Fondazione Federico II, spodestando la Monterosso. Ma questo è soltanto l’ultimo esempio. Perché la vera potenza di Fratelli d’Italia, in questi anni, è emersa grazie al Turismo, oltre che alla cultura.

Peccato che non si tratti di medaglie da appuntarsi al petto, ma di forzature su cui ha finito per mettere gli occhi la magistratura. Lo scandalo di Cannes, con quasi 6 milioni in due anni assegnati a una società lussemburghese (la Absolute Blue di Patrick Nassogne), è stato certificato persino da Renato Schifani, che ha ottenuto l’annullamento in autotutela dell’ultimo provvedimento, datato dicembre ‘22. Poco importa che, in seguito, il governatore abbia deciso per una precipitosa retromarcia (a Brucoli): ciò che resta è il metodo. Che, applicato ad altre iniziative, è stato utile per ingraziarsi le complicità dei grandi gruppi editoriali, a cominciare da Rcs Sport, e guadagnarci in comparse televisive e sui giornali: è accaduto col Giro di Sicilia (che dopo un anno di stop tornerà alla ribalta nel 2025); con SeeSicily, che ha registrato un esborso di 25 milioni per spese imputabili alla voce “comunicazione”, contro le briciole versate agli albergatori per uscire dalla morsa del Covid; e anche con le Celebrazioni Belliniane, costate 3 milioni di cui circa 900 mila euro per la realizzazione di servizi promo-pubblicitari (affidati mediante procedura negoziata all’unica ditta interessata).

Comunicazione fa rima con visibilità, quella che ai giorni nostri serve in politica. Ma se c’è un aspetto con cui Messina rifiuta in ogni occasione di misurarsi, ebbene, è il giudizio degli elettori. Non l’ha fatto alle scorse Amministrative di Catania, perché era ancora troppo fresco il seggio ottenuto a Montecitorio per concorrere alla poltrona di sindaco (poi appannaggio di Trantino); e non vuole farlo adesso, nonostante il pressing di Lollo e di certuni colleghi romani, che gli chiedono di trascinare la lista. FdI ha perso Stancanelli, che alla fine porterà con sé una buona fetta di fedelissimi, e al 90 per cento potrà contare sulla candidatura di Meloni (che dovrebbe sobbarcarsi il peso dell’intera campagna elettorale). Ma il partito in Sicilia deve mostrarsi maturo, non può dipendere soltanto dal voto d’opinione, deve continuare a formare classe dirigente. Quale soluzione migliore del Balilla? E’ lui il capo, il profeta, l’esempio da seguire.

Peccato che anche stavolta appaia riluttante. Bruxelles è considerato un posto in cui “svernare” (altro che “vogliamo cambiare l’Europa”), e in caso di elezione – nell’Isola i patrioti potrebbero ottenere un paio di caselle al parlamento UE – il rischio è quello di dover cedere il palcoscenico più ambito: il prime-time dei tg o dei talk su Mediaset. E poi c’è anche il pericolo di un corpo a corpo temutissimo, dovendosi misurare in prima persona con Stancanelli, che nella provincia etnea gode di fama e consenso. Ecco perché, anche questa volta, non se ne farà niente. Fratelli d’Italia dovrà puntare su qualche comprimario e farsi trainare da Giorgia. Mentre Catania sarà rappresentata dall’ex delfino di Musumeci, Ruggero Razza (che potrebbe godere anche del sostegno disinteressato di Raffaele Lombardo, ma non di quello di Salvo Pogliese, intenzionato a presentare un proprio candidato). L’unica corsa sarà per attribuirsi i meriti dell’affermazione elettorale di FdI, di cui nessuno dubita.

Il risultato servirà comunque a mostrare i muscoli, sfottere la sinistra e i detrattori, organizzare nuove passerelle. Nel mezzo il vuoto: della proposta legislativa e dell’azione amministrativa. Ci sono i politici operai, e i politici modelli. Su quali servano in Europa saranno i siciliani a esprimersi.