Per dirla con Totò Cardinale, è “la ricerca di un luogo della politica che ancora non c’è”. Che varca i confini dell’immaginario collettivo e scende a compromessi con la storia – la storia dei nostri giorni – per brandirla e lasciarsela alle spalle. La pandemia ha imposto nuovi schemi, a partire dal modello Draghi o dalla coalizione Ursula (in Europa), ma il superamento dell’emergenza non coincide (non per forza) con un reset generale. L’elezione del Capo dello Stato, fra 8 mesi, potrebbe essere il nuovo spartitraffico dell’esperienza politica italiana. I messaggi di Salvini, che propone Draghi al Quirinale per fermare le riforme, al contrario, rappresentano il primo tentativo di resistere a un cambiamento già in atto. In cui Draghi e Mattarella possono offrire il contributo maggiore. L’uno restando premier, l’altro Capo dello Stato. E’ lo scenario auspicato dall’ex ministro Cardinale.

Alla base di tutto ci sarebbe la rinuncia al Colle di Mario Draghi. Eppure, da quando è diventato Presidente del Consiglio, si è sempre ipotizzata una staffetta fra i due palazzi.

“Chi pensa che Draghi abbia accettato la chiamata del Capo dello Stato in un momento così drammaticamente difficile e delicato per il Paese al fine di facilitare una sua elezione a presidente della Repubblica, dimostra di non avere una visione alta della politica e di coltivare solo il proprio tornaconto a danno degli interessi generali degli italiani. Il presidente Draghi per il suo straordinario e meritato prestigio internazionale, che è destinato a rafforzarsi in Europa con l’uscita di scena della Merkel, per le sue capacità professionali nel campo dell’economia, dopo i continui fallimenti della politica nostrana, era rimasta l’unica importante risorsa per il Paese come sta ampiamente dimostrando. Ha fatto benissimo il presidente Mattarella a chiamarlo e soprattutto a convincerlo di farsi carico di un così pesante fardello”.

Mettiamo a fuoco la questione. E mettiamo che lei abbia torto. Draghi dice sì al Quirinale: che succede?

“Se Draghi dovesse essere eletto, nel prossimo febbraio, presidente della Repubblica non c’è alcun dubbio che a maggio si andrebbe ad elezioni anticipate che con certezza sarebbero vinte dai sovranisti, i quali sicuramente entrerebbero presto in rotta di collisione con un uomo dal forte carattere ed europeista convinto come è il nostro presidente del Consiglio. Le conseguenze le possiamo immaginare: nel tentativo di limitarne e restringerne il campo di azione non sarebbe difficile obiettare, con una pletora di esperti all’uopo arruolati, che essendo cambiato il quorum strutturale del Parlamento, riducendosi notevolmente il numero dei suoi componenti, da 945 a 600, il Capo dello Stato sarebbe scarsamente rappresentativo”.

Esiste un rimedio?

“L’unica soluzione per evitare possibili traumi di natura politica e forse costituzionale potrebbe essere data dall’elezione di un presidente a tempo o di transizione. Chi meglio di Mattarella?”.

Così l’esperienza di Draghi al servizio dell’Italia si esaurirà come una bolla di sapone…

“Eh no, è proprio questo il punto. Può uno come Draghi – per la responsabilità che ricopre, per i rapporti che intrattiene, per la sua visione europeista e atlantista – arrivare a scadenza naturale e disimpegnarsi del tutto consegnando così il Paese in mano ai sovranisti? Può rinunciare a guidare, al di là dei partiti, una coalizione di stampo europeista che ridisegni le regole del gioco politico italiano?”.

Può?

“Spero di no”.

Ammesso che lei abbia ragione…

“Se così fosse verrebbero finalmente cambiati i connotati alle categorie della politica, non più un gioco schematico tra sinistra, centro e destra che determina spesso scontri strumentali tra i soggetti in campo e alleanze a volte impossibili e che creano spesso una condizione di stallo a danno del Paese. Che allontanano i simili costringendoli spesso a fare scelte di campo incomprensibili per obbedire a schemi ormai obsoleti. Penso alla diaspora del centro…”.

Con Draghi, invece, cosa avverrebbe?

“Draghi se lo volesse, e io spero di sì, sarebbe in grado di rivoluzionare il sistema offrendoci finalmente la possibilità di sprigionare energie di salutare importanza per la politica, l’economia e la società. A confrontarsi, in questo caso, dovranno essere due idee, due progetti di Paese: da un lato chi pensa di rinsaldare i rapporti in Europa e con le altre democrazie occidentali con una visione solidale, riformista e liberale dell’economia che un Paese che si apre al mondo e, con politiche mirate, accoglie coloro che cercano una vita che meriti di essere vissuta. Dall’altra i sovranisti, antieuropeisti e isolazionisti. Nessuno schieramento rimarrebbe integro perché verrebbero a galla tutte le contraddizioni di cui si pasce la politica dei nostri giorni”.

Onorevole Cardinale, sua figlia Daniela, che è parlamentare di terza legislatura ha aderito al movimento di Tabacci, il Centro Democratico. Se non ricordo male lavoravate ad una lista di centro collegata a Conte.

“Sì, ci ho lavorato anche io nella convinzione che il centrosinistra, senza un centro forte e chiaramente identificabile, fosse destinato a perdere nello scontro con la destra sovranista. Come si sa, la politica è in continua evoluzione e dobbiamo dimostrare di essere all’altezza dei cambiamenti”.

Ieri Conte, oggi Draghi?

“Ieri centrosinistra contro centrodestra, oggi speriamo europeisti contro sovranisti. Io spero di continuare a dare una mano a Bruno Tabacci che conosco da oltre cinquant’anni, che stimo tantissimo per le sue grandi capacità di stare con autorevole competenza dentro i grandi temi dell’economia, motivo per il quale è stato scelto da Draghi a ricoprire l’importantissimo ruolo di suo sottosegretario con delega specifica”.

Questa sua scelta di campo non contraddice un po’ quello che ha detto sui nuovi assetti della politica?

“Assolutamente no, il nostro impegno va in quella direzione e il nostro obiettivo è quello di essere di aiuto e di stimolo nel raccogliere tante energie e tante intelligenze all’interno della nostra area europeista. Sono i tanti amici liberaldemocratici, popolari e riformisti che oggi non hanno più una casa”.

La Sicilia che ruolo gioca in questo scenario?

“Se le cose dovessero andare come io spero e immagino la Sicilia potrebbe essere come lo è stata tante volte nel passato, un grande laboratorio capace di anticipare i tempi”.