Dicono che Musumeci sia pronto a ricandidarsi. E che userà il prossimo vertice di maggioranza – già saltato martedì scorso – per comunicarlo agli alleati. Alcuni dei suoi assessori, i più fedeli, lo hanno invitato a compiere il grande passo, per “risollevare la Sicilia messa in ginocchio da Crocetta e dal Pd” (sono parole di Marco Falcone). Ma il presidente della Regione – che con i suoi alleati ha stretto un accordo di cinque anni, non di dieci – non ha ancora fatto i conti con gli umori registrati negli altri due partiti della maggioranza, quelli che pesano di più: Fratelli d’Italia e Lega.

Il Carroccio, fra l’altro, ha il diritto di prelazione sulla scelta del prossimo candidato a palazzo d’Orleans. Sono le logiche nazionali a suggerirlo: l’unica regione del Sud in mano a Salvini è l’Umbria, governata da Donatella Tesei; mentre da Roma in giù, si “pappano” tutto gli alleati. Fratelli d’Italia governa l’Abruzzo con Marsilio, ma aveva indicato Fitto per la presidenza della Regione Puglia; mentre Forza Italia controlla il Molise (Toma), la Basilicata (Bardi) e, prima della scomparsa prematura di Jole Santelli, anche la Calabria (che tornerà al voto). Oltre ad aver fallito l’assalto alla Campania con Stefano Caldoro. Tutto lascia presagire che al prossimo appuntamento, le elezioni siciliane, sia il Carroccio a dare le carte. C’è anche un altro indizio in questo senso: ossia il punto 9) dell’accordo federativo con gli Autonomisti, in cui si legge che “per le elezioni regionali il Mna (Movimento per la nuova Autonomia) e la Lega si impegnano a cooperare per la formazione” di un paio di liste, “entrambe forti ed adeguate a supportare il candidato presidente della Regione siciliana che, in accordo col Mna, sarà indicato dalla Lega”.

Musumeci, insomma, rischia di fare il passo più lungo della gamba. In un momento, fra l’altro, in cui le questioni sono tali e tante – per uno che fa pure l’assessore alla Salute ad interim e il commissario per l’emergenza – da richiedere massima attenzione e dedizione. Come ribadito da Nino Minardo, segretario regionale della Lega: “Io sono interessato a ciò che dobbiamo fare per la Sicilia e per i siciliani, sfruttando al meglio l’anno e mezzo che ci rimane davanti. Il toto-nomi e le candidature – dice, sviando la questione – non sono all’ordine del giorno e non mi entusiasmano. In questo momento alla Regione c’è un presidente che si chiama Musumeci, che gode della nostra stima e collaborazione. Noi siamo leali, ma anche critici quando serve”.

Non manca, fra le righe, qualche frecciatina: “Parliamo piuttosto delle esigenze dei ristoratori, dei baristi, delle palestre, delle imprese in sofferenza; parliamo di una campagna vaccinale che non decolla, e di un sistema sanitario che a fronte di un impegno eroico di medici e sanitari, non regge”. Anche sull’opera pubblica più discussa, che il governatore ha riportato in cima alle cose da fare, Minardo condivide il principio, un po’ meno il metodo: “Non dobbiamo fare la gara a chi ha ‘il progetto più bello per il ponte più lungo’”, bensì “andare al cuore della questione senza lasciarci troppo trasportare dai nomi: il ponte lo possiamo chiamare Ulisse, Diomede, Achille o Totò ma l’essenziale è avere le risorse economiche e il definitivo via libero politico per costruirlo”.

Dopo aver firmato la tregua con Micciché, non sarà facile per Musumeci convincere tutti gli altri ad accodarsi al suo progetto. Basato, fra l’altro, su presupposti confutabili, come quello della “buona amministrazione”. Le ultime frizioni durante la Legge Finanziaria (Minardo la definì “frastagliata”) e la bufera dei dati sulla sanità, rischiano di aver macchiato ulteriormente il percorso di Musumeci relativo alla gestione della pandemia. Il Coronavirus, a differenza dei primi mesi conditi da raccomandazioni e rigore, non sta pagando dividendi dal punto di vista dei consensi. Anzi, sta causando scollamento da parte dei siciliani nei confronti dell’istituzione regionale, nonostante Musumeci faccia il massimo per dimostrare il contrario. Con la prospettiva di altri sacrifici, dell’esito incerto del suo operato (sui vaccini, ad esempio, si procede a scartamento ridotto), e di un calo evidente di popolarità, chi sarà disposto a scottarsi per lui?

Molti degli alleati imputano al presidente della Regione scarso coinvolgimento e incapacità di aggregare. Come se l’azione di governo iniziasse e terminasse in sala giunta e mai fuori. Inoltre, da qui al prossimo anno, bisognerà decidere con quale squadra presentarsi alle urne. Se con lo schema classico del centrodestra, e il tridente formato da Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia (con l’aggiunta di Diventerà Bellissima e dell’universo centrista); o se, come suggerito implicitamente da Micciché, dare un’occhiatina al modello Draghi, e vedere chi ci sta. Il pensiero corre dritto a Italia Viva, che in Sicilia e a Palermo ha ancora un suo peso. Minardo e la Lega, però, escludono le ammucchiate: “Il modello Draghi – dice il segretario regionale del Carroccio – è una esperienza limitata nel tempo, ma che non può avere alcun risvolto sul piano elettorale. Come fanno a stare insieme la Lega e il Pd, Forza Italia e LeU?”. “Al voto si va con la coalizione di centrodestra – aggiunge -. Se, invece, la domanda è ‘la coalizione può allargarsi?’, allora le rispondo: magari, speriamo che si allarghi. Se qualcuno, da sinistra, decide di condividere i principi e i programmi del centrodestra, le porte sono aperte”.

Anche perché – Minardo, da deputato, ne è testimone – “le contraddizioni, purtroppo e ovviamente, emergono tutte”. Sul coprifuoco, ad esempio, la Lega ha scelto di astenersi e sfidare Draghi: “Lo schema proposto a Roma era l’unica soluzione possibile in una fase d’emergenza. Noi, responsabilmente, non potevamo tirarci indietro. Ma speriamo finisca presto, come la pandemia”. La responsabilità è il concetto che va più di moda. Impone il rispetto dei tempi, delle diversità, degli alleati. Esclude le fughe in avanti, i caminetti, gli aut-aut. Il centrodestra, per evitare brutte sorprese, ha bisogno di metterlo in pratica.