Habemus Papessam. La seconda donna in Sicilia alla guida di un teatro pubblico di prosa, di uno dei due Stabili dell’Isola. La seconda «foresta» (toscana di nascita, milanese d’adozione), come forse direbbe lei stessa – citando l’amato Goldoni che fece da padrino al suo debutto strehleriano nel Campiello – dopo Laura Sicignano, arrivata da Genova al timone del Teatro di Catania giusto un anno fa. Dopo tre mesi e mezzo di vuoto, il Consiglio di amministrazione di via Roma ha partorito la nomina (Villoresi era una dei 12 che s’erano candidati al bando pubblico emanato a fine autunno per cercare il successore di Roberto Alajmo) che ha visto prevalere così la linea politica del Comune e del sindaco Orlando (cui la neodirettrice è graditissima) rispetto a quella del presidente della Regione Musumeci più orientata verso scelte di cifra artistica etnea.

Una scelta che sembra – al di là dei meriti professionali: un cotè di interprete diretta da bei nomi del teatro contemporaneo, la gestione di alcuni festival e rassegne – invocare un clima d’accordo, di pacificazione. Almeno nel quadrilatero tra via Roma, via Napoli, via Teatro Biondo e via Venezia. All’interno, cioè, dell’edificio stesso fatto costruire da Andrea Biondo nel 1903 dove, tra le maestranze e gli uffici, la Villoresi è assai ben vista perché allo Stabile ha già recitato, sotto la guida di Carriglio e di Guicciardini, in alcune produzioni una ventina d’anni fa, ed è stata più volte ospite in diversi spettacoli in cartellone, facendosi un buon nome di persona affidabile ed empatica, alla mano anche fuori scena. Il che garantirebbe fra l’altro una pax sindacale sempre auspicabile in qualsiasi teatro. Si aggiunga che: Villoresi ha buone entrature in un contesto intellettual-teatrale nazionale, ha ottime aderenze nell’ambito ecclesiale (come responsabile di Divinamente Roma, un festival della spiritualità declinata tra teatro, danza e musica) dove il suo nome è sempre accolto con compiacimento, ha politicamente spaziato dalla sinistra veltroniana a quella dell’impegno civile e del volontariato, dal centro moderato di Tabacci alla destra più scoperta appoggiando Renata Polverini (ex segretario Ugl) quando questa si candidò a sindaco di Roma. E incarna, in questo modo, una sintesi di poteri che possono portare una relativa tranquillità economico-gestionale. Almeno al Biondo, dunque, l’aria sembrerebbe serena.

L’aria è invece d’attesa per gli artisti siciliani e oltre Stretto che erano in corsa – di cui una dichiarazione di sopraffino equilibrio politico da prima Repubblica del Cda per bocca del suo presidente Gianni Puglisi dice un gran bene («ricchezza del panorama locale e nazionale sul quale il Consiglio ha potuto puntare tutta la sua attenzione, tutto di alto profilo») – e soprattutto per quelli palermitani cui Alajmo nelle ultime due stagioni aveva praticamente spalancato le porte. Come a dire: vedremo quel che farà. Atteggiamento di ottimistica fiducia (al quale i palermitani in particolare sembrano aggiungere qualche perplessità o qualche timore) che include evidentemente occhi (e fucili) puntati 24h sulla nuova gestione dello Stabile.

Nessun Papa e nessuna Papessa siciliani, dunque, degni del soglio più alto ma soprattutto la vittoria di Palazzo delle Aquile nel braccio di ferro con Palazzo d’Orléans, quest’ultimo svegliatosi dopo decenni di colpevole, noncurante torpore nel giardino incantato di sipari, fondali e riflettori di cui pretendeva tutto d’un tratto le chiavi per piazzare un proprio giardiniere. Ma il più in vista dei suoi candidati, ad esempio, il regista Giuseppe Dipasquale, attualmente consulente dello stesso Musumeci per il teatro nell’Isola e in questi giorni a Napoli per le prove de La brocca rotta di von Kleist per lo Stabile di quella città, sconta il peso della crisi in cui ha lasciato tre anni fa lo Stabile etneo.

In mezzo ai due pretendenti istituzionali, un Consiglio d’amministrazione ostaggio dei capricci-ordini della politica, ondivago tra Piazza Pretoria e Piazza Indipendenza, quest’ultima la mammella più prospera per lo Stabile. E in questo equilibrio delicato, Villoresi dovrà dunque barcamenarsi, dovrà confrontarsi o fare riferimento ad un gruppo dove attendismo e indecisione hanno finora regnato sovrani fino ad aver escogitato il balbettante alibi di un bando pubblico per non scottarsi le mani togliendo dal fuoco la castagna della nuova direzione dopo il «benservito» ad Alajmo.

Non sembravano comunque avere chances sufficienti gli altri aspiranti all’ufficio del direttore artistico al terzo piano di via Teatro Biondo, faticosissimo da raggiungere anche fisicamente (senza ascensore), una lista tuttora ufficialmente blindata dal CdA ma di cui facevano parte, oltre ad Alajmo candidatosi per un nuovo quinquennio, il regista catanese Orazio Torrisi, l’attore Sebastiano Lo Monaco (attualmente direttore al Pirandello di Agrigento), Matteo Bavera, ex direttore del Garibaldi di Palermo (adesso all’Alfieri di Naso in provincia di Messina), il palermitano Claudio Collovà fino al 2017 alla guida delle Orestiadi di Gibellina, il regista siracusano Salvo Bitonti, Angela Spocci (ex manager al Regio di Parma ed ex sovrintendente al Lirico di Cagliari), Sergio Maifredi, direttore del Teatro Pubblico Ligure e del Teatro Mandanici di Barcellona Pozzo di Gotto.

Adesso, dopo l’1-0 tra Comune e Regione, la palla dovrebbe calciarla il neo-direttore con i suoi argomenti, scoprendo le sue carte: l’indirizzo artistico, la stagione 2019-2020, le produzioni e le coproduzioni, i passi da compiere per la sospiratissima e mai raggiunta etichetta di “Teatro Nazionale”, il futuro della scuola di teatro diretta da Emma Dante. Ieri i social traboccavano di auguri di “buon lavoro”: ma si sa, nello sport del “condividi”, tra applausi e critiche, sono tutti campioni.