I pastori “non lascino solo il Santo popolo fedele di Dio”, senza Parola, sacramenti e preghiera. È questo l’appello rivolto ieri da Papa Francesco, nell’introduzione della messa a Santa Marta. Nel settimo anniversario della sua elezione a Pontefice, Bergoglio ha esortato i vescovi a valutare bene che cosa fare in questa crisi legata al coronavirus: “Vorrei pregare per i pastori che devono accompagnare il popolo di Dio in questa crisi. Il Signore gli dia la forza e anche la capacità di scegliere i migliori mezzi per aiutare. Le misure drastiche non sempre sono buone. Per questo preghiamo perché lo Spirito Santo dia ai pastori la capacità del discernimento pastorale affinché provvedano misure che non lascino da solo il Santo popolo fedele di Dio. Il popolo di Dio si senta accompagnato dai pastori e dal conforto della Parola, dei sacramenti e della preghiera”.

A seguito delle parole del Papa, il cardinale Angelo De Dominicis ha corretto il decreto di giovedì pomeriggio, in cui imponeva la porte chiuse per ottemperare alle disposizioni governative, e ha riaperto le chiese di Roma, con i sacerdoti precettati per gestire gli ingressi. La Cei, con un documento inviato ai 260 vescovi su territorio italiano, aveva invitato alla prudenza e senso civico, introducendo persino l’eucarestia a distanza. Di fronte all’intervento del Papa, è sorto qualche naturale imbarazzo. Ma vale più un decreto governativo o un decreto diocesano? E soprattutto, se un fedele che si reca in chiesa venisse multato, chi ne pagherà le spese?