Marco Giammona è felice. Grazie a Massimo Valsecchi, il mecenate milanese che ha acquistato Palazzo Butera, vede finalmente le sue idee prendere corpo e produrre un risultato ben migliore di quello sperato. Ingegnere visionario, imprenditore in proprio, instancabile catalizzatore di energie, Giammona ha concepito il restauro di Palazzo Butera a tempo di record, dopo l’entrata in scena di Massimo Valsecchi. Appena sbarcato alla Kalsa con la moglie Francesca Frua De Angeli, il celebre collezionista si è letteralmente innamorato dell’antica dimora dei principe Branciforte e ha deciso di acquistarla in toto. Giammona aveva già studiare il possibile restauro di questo monumento dell’aristocrazia palermitana, destinato nei piani iniziali a diventare una residenza di lusso in multiproprietà. Ma in Valsecchi ha trovato il committente ideale per realizzare un sogno: non solo restituire a Palermo uno dei più palazzi più splendidi del barocco settecentesco, ma fare della sontuosa dimora il centro propulsore di una rigenerazione civile a vantaggio della comunità nazionale e internazionale.

Così, in meno di tre anni il fortunato connubio tra un filantropo illuminato e un ingegnere sognatore hanno permesso di ricreare una casa museo dove esporre una collezione d’arte unica al mondo, e di fondare incubatore di esperienze intorno al quale federare l’energia strategica dei siciliani della diaspora oggi ai vertici di imprese, aziende, realtà e progetti internazionali di avanguardia, per cercare di cambiare il volto di una città.

“Se un tempo questa era la casa principesca dove le grandi teste coronate, re, kaiser, zar, venivano a rendere omaggio ai Lanza di Trabia, ai Moncada di Paternò, ai Branciforte e ai Florio, oggi i Valsecchi aprono le porte del loro palazzo alla nuova aristocrazia del fare, per promuovere insieme lo sviluppo del territorio, a partire dalla Kalsa”, dice Giammona fra la visita del direttore del Tate Gallery e l’arrivo della regina d’Olanda. Così, intorno a Palazzo Butera, grazie a Massimo e Francesca Valsecchi e al loro braccio operativo Giammona, già fervono alcuni progetti importanti: Palermo Gateway del Mediterraneo, sostenuto dalla Fondazione innovazione terzo settore, di concerto con la curia e l’università, mira a ricreare il tessuto produttivo di artigiani e piccoli imprenditori nello storico quartiere arabo ancora segnato dal bombardamento del 1943. La School of Regeneration, promossa da siciliani della diaspora come Maria Barcellona, capo dell’ufficio legale di Nokia, o Enrico Fardella che insegna a Pechino, si propone di contribuire alla formazione a giovani meritevoli e di talento. Insomma, l’ambizione dei Valsecchi, collezionisti e filantropi, è quella di trasformare la loro casa in un laboratorio strategico, mettendo a sistema l’intera comunità imprenditoriale locale e internazionale per offrire una sponda all’amministrazione.

Se il motore prima della metamorfosi di Palermo è una coppia cosmopolita che dopo una vita a Londra ha deciso di radicarsi a Palermo, il copilota di questa magnifica impresa un palermitano doc, figlio di un ingegnere nucleare emigrato all’Euratom di Varese, morto quando lui aveva cinque anni. Cresciuto a Palermo, l’ingegner Giammona vive con la moglie Rossella Rubino e i due figli nel cuore della Kalsa, in un appartamento di palazzo Sambuca, primo esempio del restauro di un edificio storico distrutto dalla guerra e rinato grazie a gruppo di privati mossi dalla sola fiducia nel mercato e dall’indifferenza verso la politica o l’intermediazione malata della.

Nel 1999, infatti, Giammona con quindici compagni di scuola acquistò i ruderi del palazzo dei principi di Camporeale, raso al suolo dalle bombe americane nel 1943, collassato dal terremoto del 1968 e per decenni occupato da drogati e delinquenti. Lo presero tutti per pazzo. Nel 2001 fondò la Sambuca Costruzioni per evitare rapporti con imprese in odore di mafia, e aprì un cantiere di 8000 mq, circondato da un muro inviolabile “per far capire che l’accesso era vietato ai non addetti, pur reclutando gli operai fra i disoccupati dalla Kalsa”, ricorda oggi l’ingegnere. In sei anni, Palazzo Sambuca è risorto grazie a un restauro filologico e avveniristico, dove per fare un solo esempio le ceramiche azzurre della terrazza sono state prodotte da un artigiano di Monreale, ma solo dopo il collaudo del Cnr di Faenza, che ne ha vagliato la qualità di cottura, il biscotto di argilla e la tenuta dello smalto. E quell’esperienza madre, diciotto anni dopo, è servita per ridare vita a tempi di record anche a Palazzo Butera.