Lo so, fa male, fa malissimo. Solo un tifoso può capirlo, gli altri no. Io sto male per l’Inter, sono allenato alla sconfitta, ho una cattedra alla Sorbona. Ieri sera non ho visto partita, ho però letto i commenti degli amici tifosi.

Clima da guerriglia, palloni lanciati dalla panchina del Frosinone mentre il Palermo attaccava, invasione di campo e partita finita con 40 secondi di anticipo con l’arbitro impegnato a farsi i fatti suoi. Questo mi è parso di capire.

Se davvero è successo tutto questo c’è da diventare pazzi, lo ammetto. Il Palermo resta in B vittima di cialtronerie da campi di terza categoria. Bene, anzi male. Però c’è un però. Il Palermo durante il campionato ha avuto la possibilità di non giocarsi la vita all’ultima partita. Anzi ne ha avute mille di possibilità. E le ha sempre buttate al vento per via di partite sciagurate dal punto di vista della grinta e della concentrazione. La serie A l’abbiamo persa noi, non ce l’hanno rubata – al netto dello schifo di ieri sera – i ciociari.

Il vittimismo è un sentimento pericoloso. Rende forse il dolore più sopportabile, ti costruisce alibi alti come palazzi, ti fa scrollare le spalle e dire e vabbè ma mica è colpa mia. Ti deresponsabilizza, ti permette di accollare la colpa degli insuccessi al destino cinico e baro. Ti getta sugli occhi un velo che distorce la realtà. Nella vita come nel calcio, che nient’altro è che la rappresentazione della vita.

Io lo so perché sono interista, l’ho già detto, e sul vittimismo ci ho costruito praterie di inutili alibi che non mi hanno mai portato da nessuna parte. Fin quando ho smesso, finendo addirittura con l’essere spietato verso i miei colori e, di contro, verso me stesso. Il vittimismo che un tempo era il mio miglior amico è diventato, pensate un po’, una bestia da tenere a distanza di sicurezza.

Il Palermo ha perso, viva il Palermo. Fra qualche mese si ricomincia, consoliamoci pensando che da queste parti burinate come quelle di ieri sera mai si vedranno. Petto in fuori e, come disse una volta Rossella dopo una partita buttata al vento, domani è un altro giorno.