E’ stato per tre anni l’arrogante padrone del Turismo. Ha inaugurato la funesta stagione dello “Spendi & spandi”. Ha lucidato, con i soldi di tutti noi, i bilanci di Mediaset e di Urbano Cairo, quello del Giro d’Italia e del Giro di Sicilia. Col pretesto della stampa e propaganda ha distribuito carrettate di denaro pubblico alle faccette nere della sua parrocchia. Pensate: ha dato 70 mila euro a un pagnottista di sua fiducia per allestire la “comunicazione” del Sicilia Jazz Festival. Non solo. L’anno scorso ha messo in scena una scandalosa passerella alla mostra cinematografica di Cannes, pagando a peso d’oro una società con sede nel paradiso fiscale del Lussemburgo; e quest’anno voleva replicare alla modesta cifra di altri 3,7 milioni di euro, suscitando non solo i dubbi e l’indignazione del presidente della Regione, ma anche la curiosità di tre procure: quella della Repubblica, quella della Corte dei Conti e quella europea.

Ma nonostante tutto è ancora lì, sul palcoscenico della politica, che traccheggia e piritolleggia, che si fa beffe di Schifani, che lancia diktat al governo, che impone i suoi assessori, che manovra i funzionari e gli spiccia faccende della Regione, che tresca per impadronirsi anche del Comune di Catania. E tutti che lo ossequiano – anche gli sbeffeggiati – perché sanno che lui, il Balilla, è l’uomo forte del partito in Sicilia: ha, come si dice in gergo, le spalle coperte da Francesco Lollobrigida, il potente cognato di Giorgia Meloni, Nostra Signora dei Miracoli elettorali. E nessuno, proprio nessuno di quelli che potrebbero fermarlo, ha il coraggio di alzare un ditino per dirgli che anche in politica è necessario avere un senso del limite, della misura, della decenza.

In tempi che non vale la pena ricordare un motto accomunò Gabriele D’Annunzio, il Vate, ai furori degli Arditi: “Me ne frego”. Lui, il Balilla, se ne frega delle procure che indagano, dei partiti della maggioranza che non tollerano le sue sbrasate, del governatore che timidamente – con deferenza, quasi in ginocchio – lo invita a non strafare, dei compagni patrioti che mal sopportano la sua spregiudicatezza e la sua spavalderia. Lui, il Balilla – detto anche il Cavaliere del Suca per via di certe frasi eleganti rivolte a chi lo contestava – tira dritto. Spocchioso, impavido, impenitente, ardito. “Me ne frego”.

Certamente, con le elezioni del 25 settembre, il Paese ha espresso un improcrastinabile bisogno di rinnovamento. Ma se la classe politica che abbiamo portato ai vertici delle istituzioni è quella rappresentata dal Balilla che Dio ci aiuti.