Dopo tanto tempo, ecco a voi, cari lettori, un’altra intervista impossibile che vedrà come protagonista una dolcissima nobildonna che visse, dopo la scomparsa della cara mamma Teresa, in un affettuoso universo tutto al maschile. Intuisco già la vostra curiosità nel voler sapere chi sarà il nostro centro, a chi daremo la meritata luce e noi, plurale maiestatis, avendo deciso stranamente all’unanimità, chi debba essere, vi diamo degli indizi che vi aiuteranno a scoprirne il volto: i suoi fratelli furono due grandi talenti, uno come poeta e l’altro come artista a tutto tondo; Giuseppe Tomasi di Lampedusa le veniva cugino di primo grado, essendo le madri sorelle; una zia materna, Giulia, venne uccisa brutalmente in un Hotel romano; un’altra fu tra le vittime del terremoto di Messina del 1908; una cugina, Giovanna, si batté per l’emancipazione femminile, e le classi meno abbienti, divenendo la prima politica donna a sedere sugli scranni di Palazzo delle Aquile; il suo mondo, dopo Palermo, fu l’amata Capo d’Orlando; viene ricordata come illustre botanica. Bene, amiche e amici del nostro affollato condominio, oggi la nostra “eroina del quotidiano” è: “Agata Giovanna Piccolo di Calanovella”.

Fatto il suo nome, come in un puzzle in cui le tessere si incastrano improvvisamente, ecco emergere, dal nostro cassettino della memoria, i suoi amati germani, Lucio, che fu incoronato poeta dal premio Nobel Eugenio Montale, e il barone Casimiro, noto per i suoi acquerelli magici. Una domanda che, immediatamente, affiora è come questa delicata figura, dai grandi occhi sognanti, visse in questo “androceo” da cui, però, non fu mai esclusa, ma parte fondante. L’incontro non poteva che avvenire nella magica scenografia di Villa Piccolo, l’antica Villa Vina, in cui i tre fratelli vissero con la madre, Teresa Mastrogiovanni Tasca Filangeri di Cutò che, abbandonata dal marito, il barone Giuseppe, dopo un lungo periodo palermitano scelse, come buen retiro, per se e i suoi figli, la splendida Capo d’Orlando in cui, pur rimanendo fissi, si aprirono al mondo e il mondo li incontrò. D’altronde, Lucio Piccolo ci ha lasciato una bellissima immagine di questa dimora, affermando che la parte migliore del “Gioco a nascondere”, raccolta poetica pubblicata nel 1960, arrivava con l’oscurità quando la casa si interiorizzava. Adesso, però, è arrivato il tempo di accogliere, con la grande delicatezza che lei stessa trasmette dalle foto e dai tanti ritratti che le fece Casimiro, questa amabile donna dallo sguardo puro e lucente.

Giusi Patti Holmes

Lei non potrebbe essere poco gentile neanche se lo volesse, perché i suoi tratti, il suo sorriso, il suo accompagnare le parole con estrema grazia, la fanno apparire, ai miei occhi, come una fata che guarda il nostro quotidiano dal suo osservatorio privilegiato, Villa Piccolo. Le voglio fare una confidenza: nel mondo da cui provengo, in cui il più forte mangia il più debole, l’aggressivo è considerato più furbo del mite, il fannullone lodato per il minimo sforzo in quanto da lui nulla ci si aspetta, le sue riflessioni, così garbate, sono paragonabili a una carezza.

“Che brutto mondo e dire che, in fondo, è stato anche il mio, avendo navigato in quei mari burrascosi fino al 1974”.

Tante cose sono cambiate e il suo, da quanto ho letto, era al riparo dalla bruttura, forse per merito di Villa Vina. Cominciamo, a piccoli passi, questo nostro breve viaggio nel suo “verde” reame, partendo dalla sua data di nascita. Già so che qualcuno potrebbe obiettare che a una signora l’età non va chiesta, ma, facendo mio un aforisma di Oscar Wilde, rispondo a costoro che: “La donna che dice la sua vera età è capace di tutto” e intuisco che lei, come me, appartiene a quella categoria di persone per cui ogni anno in più è una sorta di dono.

“Ha ragione, l’età è un optional che, però, nelle società di tutti i tempi ha avuto una funzione discriminante. Per farle un esempio, nella mia, sono nata nel 1891, se non si prendeva marito entro un determinato arco di anni, si veniva considerate, da un giorno all’altro “personne agée”; ma cos’era cambiato? Solo il diktat delle convenzioni basato sul nulla.  Nella sua, invece, cosa succede?”

Solo in un campo, quello della politica, a cinquant’anni, si è considerati ancora giovincelli, forse perché resistono, come querce, ottuagenari lucidi, preparati, colti e radicati. Il punto dolente, per i comuni mortali, è che questa fortunata carriera, che allunga la gioventù, non è appannaggio di molti, ma solo di pochi fortunati.  

“Mi sta facendo venire in mente che nostra madre, pur essendo giovane, era vista da noi fratelli come depositaria di una anzianità, che ancora non l’abitava, ma faceva sì che le ci rivolgessimo con grande rispetto e dolcezza per non darle alcun dolore, per non procurarle un qualche affanno “fisico”. Già, la paura di perderla era così incontrollabile da impedirci di essere schietti con le parole perché, strana la vita, dal punto di vista esistenziale lo fummo fino alla fine dei nostri giorni. Mi scusi per il gioco di parole, ma il siciliano è una lingua così ricca e compiuta per cui lo stesso termine può avere un duplice significato, proprio come in questo caso. Non mi sono mai pentita della delicatezza con cui, io, Casimiro e Lucio, l’amammo, cercando di preservarla da altri dolori, che si sarebbero sommati ai tanti che dovette affrontare, elaborare e superare. Nostra madre era il fiore più bello di questo giardino e, come tale, andava curata e custodita. Io le ero particolarmente legata e da lei appresi l’arte della cucina che, assieme alla botanica, fu una mia grande passione”.

Trovandomi a Villa Piccolo, infatti, mi sembra di essere in un microcosmo di esemplari di piante che, per la varietà, ne fanno un macrocosmo. Un tripudio di colori e di profumi che, fra gelsomini, iris, rose, mi stordisce, nel senso più bello del termine, proiettandomi in un mondo “altro” in cui potrei ritirarmi senza rimpiangere quello da cui provengo.

“Sono felice di queste sue parole perché ho voluto ricreare qui una sorta di paradiso terrestre, almeno come io lo immagino, con una regina su tutte, la “Puya berteroniana”, che ho fatto arrivare dal Brasile, creando per lei un habitat perfetto. Metaforicamente è come se si fosse presentata alla nostra porta una parente che, pur non avendo conosciuto, si ama così profondamente da voler colmare, gli anni di estranea lontananza con gesti affettuosi in grado di abbattere l’iniziale imbarazzo.”

Deve sapere che, spesso, nei miei articoli ho citato una espressione felicissima di suo fratello Lucio che definiva questa casa come un luogo di “ingressi di paesaggi”.

“Beh, per il mio piccolo Lucio, lo chiamo così perché era il fratello minore, la poesia era una realtà interiore che permetteva di fuggire dal tempo, con cui riusciva a trasformare  l’ordinario in straordinario. A tal proposito voglio ricordare i 27 giorni e le 27 notti in cui il caro Vanni Ronsisvalle, scrittore, Caporedattore alla cultura del TG1, Vicedirettore del TG2, autore televisivo, visse a Villa Vina per realizzare un documentario, “Il Favoloso quotidiano”, in cui aprì le porte della nostra casa e del nostro “mobile universo di folate” a un largo pubblico. Furono giorni intensi in cui nacque una profonda amicizia. Ritornando all’espressione di Lucio, che lei ama tanto, mi viene di collegarla sia alla magia di Villa Piccolo che, per Casimiro, era abitata da fantastiche creature del bosco e sia all’idea che ognuno di noi fosse, per lui, una sorta di uscio capace di immettere in mondi affini, ma differenti. Riflettendoci, d’altronde, io non avrei mai potuto, mnemonicamente, ritrarre i volti che il barone, mio fratello, incontrava di notte e ricordava così bene da riportarne ogni dettaglio; Casimiro, a sua volta, non avendo il pollice verde, non avrebbe potuto accudire alle mie piante e Lucio, senza le sue parole, si sarebbe sentito svuotato, perso. Penso che per il mio piccolo poeta fossimo noi gli ingressi di paesaggi. Potrei, però, sbagliarmi”.

Cara Giovanna, chi meglio di lei può sapere e, poi, sono convinta che non ci sia un “sentire” giusto e uno errato.

“Vede, i miei fratelli, oltre all’amore, mi hanno sempre dimostrato grande stima e, quindi, nonostante Lucio fosse un grande poeta e Casimiro un genio in grado di eternare le magiche suggestioni della notte, mi hanno sempre visto loro pari, depositaria e custode della meravigliosa forma d’arte che è la botanica. Noi tre eravamo un unicum inscindibile con una visione d’insieme identica che, però, veniva filtrata e resa particolare dalle nostre passioni. Il giardino, ad esempio, per me era una sorta di tela naturale in cui avevo trasfuso la mia anima”.

So che la vostra dimora era una sorta di cenacolo culturale, a cui partecipava anche Giuseppe Tomasi di Lampedusa

Giuseppe, che era il nostro cugino prediletto, tanto da avere una sua stanza, era un uomo profondo, timido, che con Lucio gareggiava a chi fosse il maggiore scopritore di interessanti novità: mio fratello, ad esempio, lo avvicinò a Yeats che, all’epoca, non aveva ancora vinto il Nobel; Giuseppe, invece, portò a Palermo Rilke e le sue prime liriche boeme, insomma, si accaparrarono, con questo gioco, tutta la letteratura europea. La farò sorridere, ne sono sicura, rivelandole che mio cugino, nel carteggio con mio fratello, si firmava spiritosamente “Il Mostro”, lui che era così bello. Anche io, sin da adolescente, amai la lettura e, a dimostrazione di ciò, c’è una ricca collezione di riviste d’epoca che, ora, è custodita dalla Fondazione Famiglia Piccolo di Calanovella, che nacque nel 1970 dopo la morte di Lucio. Ero iscritta, può sembrare un’ovvietà, visto il mio interesse, all’Associazione mondiale di floricoltura e abbonata a “La cucina italiana”. Per i nostri ospiti mi divertivo a preparare elaborati piatti ispirati alla tradizione dei “Gattopardi” a cui univo, però, una miscellanea di sapori che attingevo dalla mia Sicilia e dalla Francia, grazie alla nostra bisnonna che era vissuta, per lungo tempo, a Parigi. Alle verdure e alla frutta coltivate nelle campagne di famiglia, associavo i paté e i canapè provenienti d’oltralpe.

Un grande dolore vi dilaniò il cuore, la scomparsa della vostra cara madre

“Uno spasmo fisico e uno spasimo dell’anima che, anche adesso che l’ho raggiunta, non riesco a dimenticare. Dopo la sua morte, forse per stordirmi, iniziai ad amministrare i beni e i feudi di famiglia. Vissi ritirata a Villa Piccolo, ma nelle mie rare uscite, diretta a Messina, a Palermo o, per una passeggiata, nella mia Capo d’Orlando, a bordo di una “Lancia Lamda” di colore nero, notavo la curiosità e l’ammirazione negli occhi di chi mi guardava. Mi viene in mente “vanitas vanitatum et omnia vanitas”, che si trova nel libro di Qoèlet, quasi ad affermare, cosa ben nota, che nessuno le sfugge. Se dovessi dire se stessi meglio durante le mie gite o in compagnia dei miei fiori e della mia cucina, non avrei dubbi”.

Chi era, tra voi fratelli, l’anima più viaggiante?

“Sicuramente Casimiro che, però, dopo la morte di Lucio, un argomento che, ahimé, ritorna, ebbe una sorta di battuta d’arresto per non lasciarmi sola, convinti che, come la gioia è in grado di moltiplicarsi, così la sofferenza di dimezzarsi, se si è in due. O, forse, era ciò che volevamo credere per farci coraggio”.

Sa, cara Giovanna, a riprova del Suo amore per il magnificente parco di Villa Piccolo, ci sono bellissime testimonianze, ma quella che più mi ha colpito è della scrittrice Camilla Cederna.

“Cosa scrisse la cara Camilla, donna di grande curiosità, rigore, acume e dalla bellezza armoniosa?”

“Lo straordinario giardino mi fu mostrato con amore dalla baronessa Giovanna: i tre bersò di glicini diverse, le distese di ortensie, le antiche, meravigliose, rose bianche. Straordinario incontro, straordinaria amicizia continuata anche quando, andando a fare i bagni a Tindari, mi recavo spesso a colazione da loro”.

Già, la nostra fu una bella amicizia, eravamo legate da “affinità elettive”. Io, leggendole ardore di conoscenza nello sguardo, che rimirava rapito alcuni angoli del giardino, le spiegai come fosse possibile coltivare e far crescere alcune specie di piante rare, come la mia amata Puya berteroniana mez, dal bellissimo fiore blu e dalle antere di un intenso color arancio. Sono felice che, ancora cresca, nel giardino della Villa, sul terrazzo naturale che guarda il mar Tirreno e la piana di Capo d’Orlando. Si vede che chi amministra e chi presiede la Fondazione sono da considerare “parenti vicini”.

Continua a richiamare appassionati e curiosi, provenienti da ogni parte. A proposito di questa meravigliosa pianta, a lei dedicò, assieme a Virgilio Germanà, se non erro, un volumetto intitolato, appunto, La “Puya Berteroniana Mez”.

“Che strano che qualcuno sia a conoscenza della mia unica pubblicazione. In essa ricordai come il primo a introdurla in Europa fosse stato il botanico-collezionista inglese Clarence Elliot, al ritorno da una spedizione nel Cile, e nel 1950 ad averne scritto il botanico italiano Antonio Raimondi”.