Doveva essere l’anima della festa, finché non s’è arrabbiato di brutto di fronte alla provocazione di una signora: “E lei quanto guadagna?”. Gianfranco Micciché aveva appena ricevuto da Cateno De Luca, durante l’assemblea regionale di Sicilia Vera, un’enorme lettera con su scritto: “preavviso di sfratto per finita sopportazione”. Un invito – in pratica – a sbarazzarsi di Musumeci. O Scateno l’avrebbe ritenuto complice del disastro. Poi aveva cominciato: “Certo che mi ricandido. Anche perché pensione non ne ho”. L’intervento dal pubblico diventa l’occasione per sboccare: “Io prendo 6 mila euro al mese, ma ho delle responsabilità – si agita Micciché – Quando finirò di fare politica, grazie ai Cinque Stelle e alla demagogia, mi rimarranno 400 euro di pensione. Mi dice lei come faccio a campare con 400 euro. Sulla demagogia ‘un mi futti nuddu. Se abbiamo la peggiore classe dirigente d’Europa, o addirittura del mondo, è perché li dobbiamo pagare al massimo 50 mila euro l’anno. Voi pensate che tutti rubano: ma io non ho mai rubato, né ruberò”.

Il presidente dell’Ars non si ferma coi giornalisti, sale al piano di sopra per prendere una boccata d’aria e rimettere in ordine i pensieri. E ricomincia, stavolta con più calma: “Io ho cominciato a fare politica che ero un ricco manager d’impresa, guadagnavo una cifra importante. L’ho lasciata per mettermi al servizio della gente. Non rubo, non ho mai rubato e mai ruberò. Sono passato da uno stipendio alto a 6-7000 euro al mese, che è una bella cifra per carità. Ma grazie ai Cinque Stelle e alla demagogia prenderò 400 euro di pensione. Mi sono rotto. Il prossimo che mi chiede quanto guadagno io, mi fa vedere prima il suo conto corrente. Io sono perennemente in rosso”. E va oltre: “Lavorerò per rimettere i vitalizi”. Difficile trovare una sponda politica se anche la platea di De Luca aizza contro: “I demagoghi ci sono anche nel mio partito – ci anticipa Micciché -. Quando volevo evitare il taglio dei vitalizi agli ex parlamentari di 90 anni Giletti mi ha massacrato. Questa cosa ci sta mangiando il cervello a tutti quanti. Da oggi inizio la mia guerra contro l’odio per la politica”.

Nel corso del dibattito, prima che gli animi si infervorassero, Miccichè si era mostrato il solito, abile stratega. “Cateno, io e te non dobbiamo parlare di niente – aveva esordito -. Non possiamo costruire un’alleanza. So bene che il tuo partito non cercherà alleanze né schemi classici. Sei diventato sindaco contro le nostre indicazioni. Mi fa sempre piacere ascoltarti, ma quello che hai detto oggi mi lascia un po’ perplesso: non puoi sempre giocare a distruggere, perché la struttura politica c’è, esiste. Piaccia o non piaccia. Di questo passo andrai a sbattere”, è il senso del discorso. “L’unica cosa che ci deve importare è il territorio, di questo passo non riuscirai a rendere un buon servizio al tuo territorio”.

La scintilla con il sindaco di Messina non è scoccata. E il preavviso di sfratto potrebbe diventare esecutivo molto presto. Ma Miccichè è pane al pane. Non risparmia nessuno: “Questo governo – riferendosi a quello di Musumeci – non ha fatto tante cose che noi speravamo si potessero fare… E troppo spesso ha dato le colpe agli altri quando invece erano sue. Quando il presidente dice che la campagna di vaccinazione è fallita per colpa dei medici di base non lo capisco. Sono stato io ad accompagnarne una delegazione all’assessorato alla Salute e neanche li hanno ricevuti”. Ma una staffilata pesante – prima di un pranzo cordiale col segretario dem Barbagallo alla Trattoria della Botte, in centro – è rivolta anche al Pd: “Ieri sono stato alla Festa dell’Unità, ed è stato un po’ triste, imbarazzante. Non sai con chi parlare perché non fanno squadra. E’ un partito bloccato. Perché a Roma gli va bene la Lega e qua in Sicilia, invece, no?”. Dure le considerazioni sull’ex Ministro Provenzano: “Voleva far fallire la Sicilia, così poi sarebbe arrivato lui nelle vesti di salvatore della patria”. Candidandosi alle Regionali, intende.

L’unico con cui sembra andare d’accordo è Davide Faraone, l’altro relatore del dibattito: “Vedrò Matteo Renzi venerdì prossimo a Firenze”. Su Draghi sa di sfondare una porta aperta: “Oggi è una salvezza per l’Italia. Se al governo ci fosse qualsiasi altro, l’Europa ci avrebbe già assaltato. Il prossimo presidente del Consiglio non può che essere ancora lui”. E ancora: “Se a Roma funziona, perché in Sicilia dovremmo fare una cosa diversa? Abbiamo bisogno di un governo amico per poter fare le cose. L’ultimo governo amico l’abbiamo avuto dal 2001 al 2005, quando c’erano Berlusconi e Cuffaro presidenti, e io in mezzo”.

Faraone, che ascolta con attenzione il tornado, fa cenno di sì con la testa: “Se riuscissimo a mettere insieme una maggioranza politica come a Roma, noi ci siamo. Io ci sto anche se alcuni partner non dovessero starci. Questo momento di crisi ce lo trascineremo ancora per un po’. Per cui bisogna lanciare un appello a tutte le forze politiche che ci stanno per rimettere in piedi quel modello. Chi si sta affannando a costruire alleanze – aggiunge il coordinatore regionale di Italia Viva  – sta perdendo tempo. Dopo le Amministrative, che creeranno sconquassi, il sistema politico nazionale a cui siamo abituati non ci sarà più. Dobbiamo lavorare a un’alternativa senza paura”.  “Oggi – rilancia Micciché – credo che Mattarella sia stato il miglior presidente della Repubblica di sempre. Sapevamo da due mesi che c’era un accordo fra lui e Renzi per mandare a casa Giuseppe Conte. Per fortuna l’avete fatto”. A questo punto, però, anche il fil rouge con Faraone si spezza: “Smentisco del tutto questa ricostruzione di Gianfranco”. “Smentisci pure, tanto sappiamo qual è la verità”.