Può darsi non sia un gran merito. Eppure Gianfranco Miccichè sta svolgendo un ruolo importante in questa legislatura. La fa da protagonista. Certo, non occorrono grandi doti in una realtà politicamente e culturalmente povera come quella siciliana per emergere. Ma, al netto della facilità del confronto, il presidente dell’Assemblea ha messo in campo la sua lunga esperienza mischiata, come è consueto per lui, con le bizzarrie del carattere, con i frequenti scarti umorali, agendo peraltro lungo una linea non sempre chiara e coerente.

Più volte è apparso come il contraltare di Musumeci ed ha avuto con lui frequenti ed aspri scontri. Ma di fatto lo ha sostenuto, attutendo il permanente nervosismo di pezzi della maggioranza e tenendoli dentro il recinto del centro destra. Per quanto ondivago, su una cosa Miccichè ha tenuto ferma la barra: il rifiuto del sovranismo e delle posizioni più aberranti dell’estrema destra, pur rimanendone alleato. Se non ha rotto, se non ha segnato una netta linea di divisione e di frattura, è anche perché non ha individuato una alternativa credibile in Assemblea e tra le forze politiche.

L’approccio con il Partito Democratico, pure tentato suscitando curiosità e qualche disponibilità subito stoppate per la distanza delle posizioni, ha fatto emergere l’impraticabilità, almeno ad oggi, della cosiddetta maggioranza Ursula. Nelle ultime settimane Miccichè ha di fatto assorbito ciò che resta della folta schiera di Renzi e ha continuato ad essere punto di riferimento per molti del centro o dei centri. Dove sfocerà tutto ciò, dove andrà a parare il protagonismo del presidente dell’Assemblea? Oggi sembra più probabile prevedere che il suo attivismo si smorzi ed egli resti, magari con qualche garanzia politica e personale, nei ranghi del centro destra. Si deve esser tuttavia prudenti e aspettare che venga eletto il nuovo presidente della Repubblica. Si deve attendere che Berlusconi porti a casa non il Quirinale, prospettiva del tutto improbabile e oltremodo offensiva del buon senso. Gli basterà essere votato una o due volte per affermare la spendibilità per una carica alla quale forse crede lui solo e alla quale i suoi alleati devono far finta di credere. Poi? Il Cavaliere potrebbe continuare nel ruolo recitato con la consueta abilità teatrale di “federatore” o essere, finalmente, coerente con le posizioni del Partito popolare europeo, rompendo con gli amici degli amici di Orbán, di Le Pen e dei polacchi, compiendo, cioè, una scelta liberale, sempre proclamata e contraddetta dei fatti.

Da quello snodo dipenderà in larga misura ciò che farà Miccichè e potrà fermare l’agitarsi incontrollato e un po’ comico dei tanti candidati a sindaco di Palermo che sono diventati più numerosi delle margherite in un prato a primavera e, infine, potrà offrire una qualche prospettiva a quei gruppi di centro che hanno molte velleità, numerosi generali capaci di disegnare arditi piani di guerra per scoprire che mancano i soldati e che il terreno del confronto al centro si restringe sempre di più, diventa un non luogo, mentre il bipolarismo si afferma nell’opinione pubblica.

Che se anche una nuova, improbabile legge elettorale, introducesse il proporzionale, mettendolo in discussione, il presidente della Regione sarà eletto sempre a maggioranza. Fra qualche mese arriveranno le elezioni di Palermo e, tra meno di un anno, quelle regionali. Miccichè non ha molto tempo per scoprire le sue carte, non potrà continuare a tessere e sfilare. Anche perché il filatoio potrebbe modificare il proprio assetto. Le elezioni nazionali, è un mantra che si ripete costantemente, sono diverse da quelle comunali e quelle che si sono svolte quindici giorni fa ed oggi hanno riguardato città di media grandezza non possono essere assunte come indice di tendenza generale della Sicilia. Dette queste ovvietà, i risultati che stanno venendo fuori dalle urne lasciano immaginare che il vento possa cambiare anche nell’Isola, dove il Partito democratico pare uscire dall’irrilevanza e il Movimento cinque stelle confermarsi una forza che, se non è quella delle Politiche del 2018, risulta essere comunque rilevante. Il centro destra che subisce evidenti crepe, con Salvini che porta a casa più deputati in cerca di protezione che voti ed avverte di non essere l’armata invincibile come si riteneva, sarà indotto a serrare le fila e a non lasciare molti margini al presidente dell’Assemblea per continuare a distinguersi e per proseguire nel suo protagonismo personale, disallineato dalle forze della destra indotte a comporsi a difesa.