Se Dolce & Gabbana hanno affittato l’anno scorso mezza Palermo – strade, piazze, musei, palazzi – per un evento promozionale, a loro tre, più semplicemente, è bastato prenotare per un weekend tre stanze in un grande albergo del centro. Non c’era alcun evento da promuovere, è vero, ma chissà che da cosa nasca cosa e che da questa iniziativa la città possa trarre qualche vantaggio. E così, un po’ in incognita, due francesi e un italiano che da vent’anni vive e lavora a Parigi, sono sbarcati con un diretto da Orly a Punta Raisi per capire un po’ com’è questa millenaria capitale, quali le sue bellezze architettoniche, di che pasta sono fatti i suoi abitanti, come si vive e che aria si respira. Un fine settimana è poco, pochissimo, è vero, da mission impossible. Il tema loro assegnato: come possa Palermo ispirare l’alta moda, come la sua storia e il suo presente possano trasformarsi in un input per la creatività dei grandi atelier d’Oltralpe. Missione compiuta, comunque, tema adesso in scrittura. Dello svolgimento non è dato sapere, ovviamente, anche se il materiale e le sensazioni raccolti saranno oggetto di quello che da noi potrebbe chiamarsi un corso monografico.

Per Marie Pierre Gendarme e Jean Marc Chauve era un debutto, per Duccio Bosio uno dei retours nostalgiques visto che a Palermo ha lavorato per quattro anni (direttore di una catena nazionale di negozi d’abbigliamento maschile) alla fine degli ormai lontani anni ’70. Gendarme e Chauve sono la prima “directeur de la formation” e il secondo docente di “fenomenologia della moda e del design” dell’IFM (Institut Français de la Mode) che ha sede a Parigi, la scuola più autorevole e severa che sulle rive della Senna prepara gli stilisti di domani (ma anche altre figure del settore, compresi i manager), Bosio invece è il responsabile del Saint Laurent Couture Institut, l’accademia della celebre maison presso la quale ha lavorato per tanti anni dopo essere sbarcato nella Ville Lumiére chiamato prima da Dior.

Un “petit tour” per dimore aristocratiche, chiese, musei, teatri, mercati popolari, trattorie con i loro piatti: da Palazzo Alliata alla Martorana, da Santa Caterina, con sosta d’obbligo per assaggiare (e portare a casa) i dolci preparati seguendo le antiche ricette delle monache del convento, agli stucchi dorati del Massimo, fino ai banchi di pesce, carni e frutta di Ballarò, alle sarde a beccafico e alla pasta con l’anciòva. I francesi – che non si lasciano cogliere mai impreparati – hanno anche approfittato delle “Vie dei tesori” e scoperto dunque una Palermo meno da guida turistica. Effetto “sindrome di Stendhal” per Casa Professa: la vertigine barocca ha quasi mandato in tilt gli smartphone con i quali i tre docenti hanno immortalato le bellezze della Chiesa del Gesù, un centinaio di foto a testa, dall’abside all’alluce del più piccolo putto marmoreo.

Cosa racconteranno ai loro aspiranti stilisti i tre insegnanti? Non si sa. Gli diranno, assicurano, che, una volta visitata, “il n’est pas possible d’oublier Palerme”. Con buona pace di un famoso romanzo.