“E’ mai possibile che la politica, e tutti i suoi veleni, debba entrare in ogni singolo aspetto della nostra vita?”. E’ la domanda disincantata che un qualunque ragazzino di dodici anni porrebbe al padre più navigato, se solo avesse la forza di staccarsi da quel maledetto telefonino e affacciarsi alla vita, quella reale e senza tweet, con un briciolo di curiosità in più. E scoprirebbe che sì, la politica, è ovunque: sui social, diventati la “velina” ufficiale di movimenti e ministri (tanto da rendere le vecchie conferenze stampa un pezzo d’antiquariato), nei tg e nei giornali (dove si è sempre guadagnata i titoli d’apertura) e persino nelle fiction, che oggi il pubblico è sempre più abituato ad approcciare secondo una chiave politica, laddove dichiaratamente (e storicamente) ci sarebbe anche dell’altro. Un pezzo di umanità, dei valori imprescindibili, un racconto a metà tra realtà e fantasia.

Invece no. Accade che la politica contamini il resto del Mondo e sia sempre meno disposta ad essere contaminata da esso e dalle sue reali esigenze. Come se fosse diventata vetrina delle apparenze, scatola vuota di pretese e ambizioni. Giuste o sbagliate che siano. Politica come rappresentazione di se stessa che si specchia altrove. Un ragionamento destinato, quasi, a rimanere senza senso se non fosse per l’emblematico esempio di questi giorni: la polemica, fastidiosa quanto sterile, innescata attorno ai due nuovi episodi del commissario Montalbano, la storica fiction Rai, prodotta da Palomar, che tornerà sugli schermi all’indomani del Festival di Sanremo – anche questo non è un accostamento casuale – il prossimo 11 febbraio. Ciò che stupisce, in questo mondo in cui suona inutile stupirsi, è che anche il Commissario Montalbano sia finito (ingiustamente) nelle grinfie del Sovranismo, e abbia provocato pruriti nel ministro dell’Interno e nei suoi seguaci. Tra cui la nuova presidente di Rai 1, Teresa De Santis, che qualche settimana fa si era resa protagonista dello scazzo verso Claudio Baglioni, direttore artistico del Festival di Sanremo, solo per aver espresso un’opinione sulla questione migranti.

La Rai, che in questa fase storica è a trazione grillo-leghista, deve fare i conti con lo smarrimento (epocale) di un’identità pluralista e pura, che porta a contestare – quasi in silenzio, perché altrimenti ci sarebbe da vergognarsi – la messa in onda di una fiction che negli ultimi vent’anni ha regalato alla tv pubblica quasi 1,2 miliardi di spettatori e alla provincia di Ragusa, quella in cui si snodano le riprese, un boom economico vero (non quello annunciato da Di Maio che si è subito incagliato sulla recessione) e inaspettato. Tante parole per dire che il Commissario Montalbano, con i suoi undici milioni di telespettatori per serata media, che ha contribuito a rendere molti luoghi del Ragusano patrimonio dell’Unesco, dovrebbe essere ritenuto anch’esso patrimonio dell’Unesco, o comunque di tutti quelli che gli vogliono bene e che a lui, al commissario di Vigata interpretato da Luca Zingaretti, devono parte delle proprie fortune.

Perché Montalbano rischi di infastidire è presto detto: nei due nuovi episodi – titolati “L’altro capo del filo” e “Un diario del ‘43” – il tema dei migranti è al centro di tutto. Lo stesso tema che tiene banco in tv e sui social. Lo stesso rispetto al quale Matteo Salvini si pone come salvatore della patria, e imputato extra-lusso, allo scopo di “difendere i confini e gli italiani”. Uno slogan eccitante che gli ha provocato un salto incredibile nei sondaggi, consentendogli di raddoppiare i consensi rispetto alle ultime Politiche, ma che dovrebbe rimanere fuori dalla fiction vera, quella di Montalbano. Dove il commissario si precipita nelle fredde acque del Mediterraneo per estrarre il corpo di un migrante devastato, dove il fido Catarella, il poliziotto pasticcione, si commuove e piange alla vista di una donna al nono mese di gravidanza che fatica a riemergere dall’acqua. Dove un’intera squadra, ridotta all’osso, si fa in quattro per contrastare il fenomeno degli sbarchi. Passa un messaggio bellissimo, positivo. Di sacrificio e solidarietà. Che rischia di incagliarsi sulla cronaca, fredda e un pochino stanca, di questi giorni, dove 47 migranti sono stati abbandonati alla deriva a poche miglia da Siracusa, per proteggere i confini e il popolo italiano.

E allora che fa, lo mandiamo in onda? Chissà quale messaggio può veicolare una roba del genere… Se lo sono chiesti a viale Mazzini, ma poi di fronte all’imperio di Montalbano e alle proteste di parte delle opposizioni (il senatore Pd Davide Faraone ha chiesto di essere ascoltato in commissione di Vigilanza per difendere l’onore del commissario), è stato meglio sorvolare: “Non c’è nessun imbarazzo da parte della Rai, nessuna fibrillazione – ha detto la direttrice di rete Teresa De Santis – La migrazione è un tema complesso che coinvolge molti ambiti e il film racconta un punto di vista e offre molti spunti di riflessione. Le polemiche politiche in questo momento non ci riguardano”. Luca Zingaretti, che un fratellino impegnato nel congresso nazionale del Pd ce l’avrebbe pure, si è tirato fuori dalla diatriba politica: “Io sono un attore e recito le battute”. Ma il prurito resta.

Che siano state invenzioni della stampa, no, non è possibile. Che si sia deciso (per fortuna) di accantonare le polemiche perché letteralmente fuori luogo, sì, per fortuna è accaduto. Il contrario sarebbe stato francamente troppo. Anche se di fronte alla fluidità del fenomeno migratorio, che nell’agenda setting di Salvini costituisce la priorità assoluta, una lotta strenua di sopravvivenza elettorale, ancora di salvezza di un Paese allo sbando e in recessione, potrebbe riesplodere alla vigilia della messa in onda di Montalbano, quando all’Ariston di Sanremo quel “ribelle” di Baglioni rischia di trasformare Sanremo in uno show contro il governo. Non prendeteci sul serio, siamo al paradosso. Ma il paradosso in questo Paese rischia di diventare “la normalità”. Quindi è meglio non scherzarci troppo. Montalbano, salvaci tu.