Il memento mori che ci affligge tutti quotidianamente, il monatto che sentiamo scampanellare dietro di noi, oppure semplicemente Giuseppi the premier che ci raccomanda il “tutti a casa”: probabilmente non avrebbe avuto bisogno di tutti questi nefasti incentivi il commissario Montalbano che ha ripreso la sua strada orfano tre volte, del suo creatore Andrea Camilleri, del suo superbo allestitore, il regista Alberto Sironi e dello scenografo Luciano Ricceri. Forse ce l’avrebbe fatta senza questa strepitosa voglia di dimenticare tabellari conte di morti e bollettini di contagiati a radunare davanti alla televisione quasi 10 milioni di telespettatori e il 39% di share, uno sproposito oggidi, ma comunque il consueto sproposito montalbanesco, repliche comprese.

Eppure… eppure questo «Salvo amato, Livia mia» è parso un po’ abborracciato, con qualche dialogo frettolosamente chiuso, qualche incongruità di sceneggiatura, un paio di soluzioni tanto per accomodare, riprese così così, non quel quadro isolano di provincia cui ci aveva abituato Sironi, compiaciuto di certe sue figure tipiche ma lontane dalla caricatura così come lontano dall’oleografia sembrava l’affresco.

Certo, Luca Zingaretti ha forse dovuto sacrificare i dettagli del suo personaggio, infardellato com’era dell’incarico registico assunto in prima persona alla morte di Sironi, ha dovuto sbozzarlo con occhio duplice, uno a se stesso e l’altro alla camera che quel se stesso (e gli altri) doveva riprendere. E stavolta il luogo comune ha preso il sopravvento, l’oleografia ha tracimato su una certa asciuttezza estetica che il regista aveva preteso dal suo occhio (e dal contesto scenografico di Ricceri), i dialoghi si sono smarcati tra ripetizioni e sottolineature superflue (valga per tutte la scena in cui una collega di lavoro della vittima loda davanti al commissario le finalità umanitarie e sociali dell’associazione per piccoli migranti fondata dalla vittima stessa, lodi che si ripetono nella scena appena successiva per bocca di Livia, eterna fidanzata di Montalbano, sulla terrazza sul mare della celebre casa del poliziotto; oppure il dettaglio stesso dell’incontro a Genova tra Livia e la povera assassinata, finita nella città della Lanterna per un concorso). Piccolezze si dirà, forse svarioni. Ma che pesano sull’impressione generale, sull’esito finale. Non era certo semplice il passaggio di mano, specialmente come è avvenuto in questa occasione, a set già allestito. E non ci si può improvvisare registi quando si ha già sulle spalle una responsabilità come quella di un personaggio-icona quale Montalbano è diventato nel nostro immaginario di lettori- telespettatori.

Ma tant’è. Grandi feste per gli ascolti, ovviamente, Rai1 in testa, i produttori, il regista-protagonista, il cast. In un cielo plumbeo come quello che ci grava sulla testa, un piccolo raggio di sole fa la figura d’un solleone agostano.