S’era detto fiducioso nell’unità del centrodestra, Nello Musumeci. Allontanando, così, possibili divisioni: “Nessuna contesa – aveva chiarito dal palco di Fratelli d’Italia, a Milano, durante l’Assemblea programmatica del partito -, c’è soltanto la necessità di fare chiarezza. Sono convinto che i leader delle forze politiche del centrodestra troveranno le ragioni che uniscono”.

Oltre alla buona volontà dei leader nazionali, però, servirebbe anche la sua. Invece la mossa sperimentata ieri – cioè la nomina di un suo fedelissimo, Alessandro Aricò, alla guida dell’assessorato alla Formazione professionale – è la pietra tombale sui rapporti col resto della coalizione. E la conferma spietata che Musumeci non ha alcun tipo d’interesse a trovare “le ragioni che uniscono”. Bensì a coltivare i propri, di interessi. La sua giunta è ormai monocolore: ad eccezione di Scavone, Scilla e Samonà, sono tutti uomini del presidente. Il nuovo ‘cerchio magico’. Per gli altri partiti non c’è più spazio, perché le poltrone sono tutte occupate. Ma soprattutto non c’è un briciolo di concertazione neanche di fronte alle questioni più ovvie, come la nomina di un assessore.

Lo conferma la nota di Lega, Forza Italia, Noi con l’Italia e Autonomisti, che affilano le armi, parlando di “autoreferenzialità” e “uomo solo al comando”. Sono gli stessi partiti che, dopo averlo fatto eleggere, Musumeci ha ripudiato per anni e ai quali, improvvisamente, era tornato a interessarsi con l’obiettivo di blindare il bis (immeritato) a palazzo d’Orleans. Perché Musumeci è così: da un lato invoca unità, dall’altro fa di tutto per dividere. E’ uno che invoca la pace, ma ogni sua azione è una dichiarazione di guerra; dice di rispettare il parlamento, ma continua imperterrito a rifilare schiaffoni ai deputati che non sanno più come contrastare il suo delirio elettorale.

I 213 milioni promessi, sotto forma di cantieri e infrastrutture, a vari comuni – di cui 31 al voto domenica prossima – hanno provocato la reazione ferma e immediata del Partito Democratico, che ha messo in conto di rivolgersi alla Procura della Repubblica e alla Corte dei Conti. L’ultimo colpo gobbo, senza una chiara evidenza pubblica rispetto agli investimenti ipotizzati (i soldi non sono ancora nella disponibilità della Regione), ha scosso l’Assemblea, che però non si sorprende neanche più. Prova a contrastare e basta.

Musumeci restituisce la cifra della decadenza delle istituzioni siciliane. Che non dialogano e non condividono. Spesso impongono. E infine pretendono. Nel suo caso, di ricandidarsi e rimanere sul piedistallo del potere. Non perché abbia un merito particolare, ma solo per onorare la vecchia “legge del contadino”: chi semina, raccoglie. La sua, però, è una stagione di siccità.