Nella sua armatura lucidata a nuovo, Nello Musumeci ritrova quella serenità che la pandemia gli ha tolto, creando in buona parte dei siciliani un’opinione negativa del suo governo. Un governo smantellato dall’inchiesta sulla sanità, colpevolizzato per il prolungarsi della zona arancione e per la scarsa adesione alla campagna vaccinale, azzannato dai morsi della fame di molte imprese sulla via del fallimento (i ristori, quando?). E non è solo, come ha dichiarato Musumeci a Repubblica, perché “lavoriamo tanto e comunichiamo poco”. E’ che qualcosa non è andato per il verso giusto. Tutti commettono errori, ma qualcuno fa più fatica ad ammetterlo.

Musumeci, che non vede di lasciarsi alle spalle questa brutta disavventura del Covid, trova però la forza di dedicarsi ad altro: tenta di scambiare pedine (assessori) con gli alleati, si ostina sulla realizzazione del Ponte, rilancia sulla propria candidatura. E’ quasi certo di averla ottenuta. Il merito è proprio di quell’armatura che no, non c’entra nulla con le frequenti metafore di guerra utilizzate dal presidente della Regione (l’ultima: “Un esercito in marcia non si ferma a fucilare i disertori”), ma c’entra molto con le persone che lo affiancano: caparbie, fedeli, ostinate. Un coacervo di riconoscenza, impegno e servilismo, come si fa con i politici di rango. E’ una squadra imponente, una sorta di falange sempre pronta a combattere per la causa. Il cosiddetto “partito del presidente” schiera una squadra nutrita di assessori – alcuni più in vista di altri – ma anche tantissimi componenti di un sottogoverno vasto, che lo aiuta ogni giorno a superare le difficoltà e a ricercare il consenso.

Ci sono gli assessori, si diceva. Il primo della lista, per la verità, è un ex: si tratta di Ruggero Razza. Nelle prossime ore potrebbe riottenere il posto a piazza Ziino, sede dell’assessorato alla Salute, dopo aver osservato per oltre un mese gli sciacalli accanirsi sui suoi resti. Il delfino del presidente, che secondo il Gip di Trapani sarebbe arrivato a ingannarlo, nel cuore di Musumeci ha già ottenuto un’assoluzione piena. Non solo per il lavoro svolto in giunta negli ultimi tre anni e mezzo (“apprezzato persino dagli oppositori più leali”), ma anche perché Razza costituisce la principale trait d’union con i partiti della coalizione, a partire da Lega e Fratelli d’Italia che negli ultimi tempi hanno avuto parecchio da obiettare, tirando fuori le unghie. Razza è l’unico in grado di tenerli a bada, di farli remare nella stessa direzione, di offrire qualcosa in cambio. Il perfetto mediatore, che mastica politica e sa maneggiare il confronto con cura. Ecco: riammetterlo nell’esecutivo non solo permetterà a Musumeci di cedere l’interim alla Sanità (che fatica), ma anche di poter contare – alla luce del sole, e non più nell’ombra come è accaduto di recente – sul suo consigliere politico prediletto.

Nessuno è stato in grado di rimpiazzarlo, sebbene Musumeci, nel suo “cerchio magico”, abbia incluso altri assessori. Su tutti, Gaetano Armao e Marco Falcone. Entrambi si sono staccati dalla linea di Forza Italia per andare in soccorso del governatore, per spingere sulla sua rielezione, per lodare il suo operato. A differenza di Micciché, che ha mani abbastanza libere per criticarlo (spesso lo ha fatto), loro no. Ci sono dentro fino al collo: difendono l’azione di governo, la rilanciano finché possono. Falcone, dalla sua, dimostra un impegno incrollabile e risultati tangibili, riconosciuti anche dagli avversari più accaniti; Armao, invece, una volta uscito da via Notarbartolo (sede dell’assessorato all’Economia) si lascerà alle spalle i conti sballati, un disavanzo enorme da ripianare in dieci anni (che è scaturito nell’accordo Stato-Regione, assai vincolante per la Sicilia), le critiche feroci della Corte dei Conti, la rabbia delle imprese per non aver ottenuto un euro di ristori. Al netto – va specificato – della promessa di 250 milioni di fondi strutturali da riprogrammare, su cui Roma si sarebbe pronunciata favorevolmente.

Ma al di là di Falcone e Armao, e del fidatissimo Razza, Musumeci ha creato anche altrove il collante della sua esperienza di governo. Pescando spesso a Catania, la sua città. Che gli garantisce protezione dagli orchi palermitani, pronti a sacrificarlo in qualsiasi momento. L’Irfis, la banca della Regione, è guidata dall’avvocato Giacomo Gargano, il capo della segreteria tecnica del presidente. Dirige una delle strutture più importanti dell’universo delle partecipate regionali, per il semplice motivo che almeno questa funziona. Col Fondo Sicilia è stata in grado di garantire dieci milioni per l’editoria. Le poche risorse erogate dalla Regione in termini di contribuzione alle imprese, escono soprattutto da qui (e, in parte, da Crias e Ircac). Poi c’è un altro centro d’eccellenza, come il Cefpas, in mano a un altro fedelissimo: si tratta di Roberto Sanfilippo, già consulente tecnico del sindaco di Catania, Raffaele Stancanelli, dal 2008 al 2013. Il Cefpas è il centro per la formazione permanente e l’aggiornamento del personale sanitario. Fino a qualche tempo fa c’era pure Vito Branca, che dopo le note difficoltà di Riscossione Sicilia, ha scelto di farsi da parte: Musumeci, che del potente avvocato catanese si fida eccome, lo ha richiamato però in qualità di consulente per le materie tributarie e fiscali.

La stessa parabola dell’ingegnere Tuccio D’Urso, altro catanese, che dopo aver lasciato (per il raggiungimento dell’età pensionabile) il ruolo di capo dipartimento all’Energia, è stato “riciclato” come coordinatore della struttura tecnica e soggetto attuatore per l’emergenza Covid: si occupa di edilizia sanitaria. Gestisce una montagna si soldi che servono a riqualificare vecchi ospedali per andare oltre la pandemia. Non solo: D’Urso ha progettato anche il nuovo centro direzionale della Regione siciliana, una struttura che dovrebbe rivoluzionare per sempre il concetto di “lavoro” nella pubblica amministrazione siciliana. Oltre ad aver fiancheggiato Musumeci nella lotta contro i “dipendenti fannulloni”. Insomma, è uno che digrigna i denti, che non teme di esporsi, che rivendica i meriti del proprio operato, che va alla guerra quando serve. Alla squadra si è aggiunta di recente Michele Giuffrida, ex direttrice di Telecolor, ex parlamentare europea del Pd, un’altra catanese: il suo innesto ha fatto discutere non tanto per l’area politica di provenienza, quando per la decisione dell’Ars di arrotondare il suo stipendio. I risultati sono tutti da valutare.

E infine c’è la parte politica: dalla famiglia Trantino, che garantisce assistenza (legale) e supporto; passando per Gino Ioppolo, il sindaco di Caltagirone, uno dei pochi di cui Musumeci si fida ciecamente (gli avrebbe affidato l’assessorato alla Salute, se per Razza le cose fossero precipitate); e infine Giuseppe Catania – che di etneo ha solo il cognome essendo nato a Palermo – che non solo è il presidente dell’assemblea regionale di Diventerà Bellissima, ma da qualche tempo ha assunto il ruolo di presidente del Cda dell’Ente di Sviluppo Agricolo. L’ultimo carrozzone della Prima Repubblica che il governatore avrebbe voluto sopprimere, ma poi, con un sussulto d’amor proprio, ha deciso di rilanciare. Negli ultimi giorni ha persino annunciato l’adeguamento del contratto, dopo dodici anni, per circa 370 operai agricoli che si occupano di manutenzione del territorio e del paesaggio rurale, i cosiddetti trattoristi. L’ennesima rivoluzione portata avanti grazie a quell’armatura lucidata a nuovo.