Nulla di nuovo sotto il sole: nel senso che le gare d’appalto truccate, e il sistema marcio della sanità che la procura di Palermo ha smantellato con altri dieci arresti, si riferiscono al periodo 2017-20, quando Antonio Candela e Fabio Damiani imperavano. Il secondo più del primo: Candela, infatti, ex manager dell’Asp di Palermo, era rimasto fuori dal totonomine del nuovo governo di centrodestra (perché troppo “crocettiano”), mentre Damiani, dalla Centrale Unica di Committenza, aveva dovuto ripiegare sull’Asp di Trapani. Perché questa premessa? Per ricordare, sostanzialmente, che un sistema non nasce marcio, ma è reso marcio delle persone che lo frequentano, di cui Ruggero Razza, ormai ex assessore alla Salute, disse di volersi liberare: “Nessuno pensi che un cancro come la corruzione possa essere debellato con strumenti ordinari – spiegò l’assessore immediatamente dopo gli arresti eccellenti del 2020 -. Perché i funzionari infedeli, quando ci sono, diventano sempre più bravi nel provare a utilizzare strumenti in apparenza legali, che poi si rivelano fatalmente indebite coperture di odiosi traffici. Alla trasparenza, come anelito di libertà, si può rispondere in un solo modo: con la durezza delle decisioni”.

La durezza delle decisioni, forse, è quella che la Regione avrebbe dovuto applicare nei confronti di alcuni funzionari ritenuti “infedeli” da parte delle Procure: sia nel caso della prima tranche dell’inchiesta ‘Sorella Sanità’ (che ha avuto ieri il suo sequel), ma anche dell’inchiesta della Procura di Trapani (poi trasferita a Palermo) sui dati falsi Covid, che aveva portato a infliggere imponenti misure cautelari a dirigenti e collaboratori dell’assessorato di piazza Ottavio Ziino. Alcuni, terminato il periodo di interdizione dagli uffici, sono tornati in sella (nel ruolo di superburocrati); altri si sono addirittura candidati alle Regionali senza essere eletti. E il processo, che vede lo stesso Razza nelle vesti di imputato (per falso) deve ancora cominciare. E’ vero che vale la presunzione d’innocenza, ma questo non è un ragionamento di carattere penale, bensì legato all’opportunità politica. Come conferma la commissione Antimafia nella sua ultima relazione approvata all’unisono, la sanità negli ultimi trent’anni ha rappresentato “un bottino di guerra, una terra di mezzo da conquistare, un’occasione per fabbricare vantaggi economici e rendite personali”. Non ha mai dato l’impressione di essere un “posto” trasparente e slegato da logiche clientelari.

Tutti lo sanno e nessuno interviene, così il giochino si ripete. Nella relazione di Claudio Fava, Candela e Damiani vengono definiti “paladini indiscussi della legalità e della lotta al malaffare; testimonial per manifestazioni e congressi di qualsiasi tipo e colore; top player per lo scacchiere delle poltrone che contano. Ma anche protagonisti di un sistema criminale dedicato a controllare minuziosamente gli appalti della sanità”. La Regione, per cercare di arginare il malaffare alle radici, sarebbe dovuta intervenire sulle regole del gioco, cancellando l’intromissione della politica nelle nomine della governance di aziende e ospedali, allo scopo di cancellare favori e compromessi vari che si instaurano dopo aver occupato una poltrona. Oppure – cosa che non è avvenuta neppure in altri luoghi (come le partecipate: vedasi il caso dell’Ast) – ci si sarebbe dovuti inventare un meccanismo di vigilanza ferreo, e punire chi sbaglia. Ma neanche in questi due anni funesti, nonostante gli scandali si siano succeduti, è arrivata una decisione, o addirittura una norma, in tal senso. L’unica contromisura della Regione è avere affiancato la Consip alla CUC per la gestione degli appalti più importanti; e, sul fronte dell’attività legislativa, impedito le nomine (anche nella sanità) negli ultimi 180 giorni di legislatura, evitando di trasformare tutto quanto in un’avvilente campagna acquisti.

Musumeci ha lasciato il suo posto a Schifani, nel giorno del passaggio di consegne, vantandosi di aver tenuto fuori lobbisti e traffichini. Ma il lavoro è lungo. Specie nella sanità, che rappresenta la carne viva della pubblica amministrazione, nonché una fonte di guadagno certa (vale poco meno della metà dell’intero bilancio regionale), con un sacco di occhi puntati addosso. Alla luce degli ultimi accadimenti – grazie a Damiani che ha vuotato il sacco – sono emersi altri responsabili, tra cui un funzionario della ASP di Enna (quindi, un dipendente pubblico) e un sottufficiale dei Nas. E siccome restano in tanti quelli disposti a sporcarsi le mani, forse sarebbe davvero il momento di intervenire. Con durezza. Lasciandosi alle spalle una scia di parole insopportabili, e agendo nell’ombra della legalità e del rigore.

“E’ questa l’opera di buon governo lasciata in eredità a Schifani dal precedente governo e che il presidente si è detto convinto di voler proseguire? Speriamo proprio di no”, è il commento di Nello Dipasquale, deputato regionale del Pd, rievocando il bacio della pantofola dello scorso 15 settembre a Catania. “Pretendiamo – dice ancora Dipasquale – che questo “modello” di governo finisca, che vengano nominati manager capaci, che chi governa sappia prendersi le proprie responsabilità. Pretendiamo che la Sanità in Sicilia possa tornare a essere degna di un Paese civile e che cessino gli scandali e gli affari”.

“Il mio governo sarà inflessibile sull’applicazione del principio della massima trasparenza e della massima responsabilità – ha promesso Schifani -. Se vi sono soggetti che tendono a delinquere, spacciandosi per tutori della legalità, prima o poi pagheranno. Noi saremo molto rigorosi nella selezione preventiva dei futuri direttori generali, non solo sotto il profilo della moralità, dell’affidabilità, ma anche della qualità professionale, di come hanno operato in passato. La corruzione è un male che dobbiamo combattere”.

Il neo presidente della Regione ha ricordato pure che fra i primi atti del suo governo (ancora sulla carta) ci sarà l’insediamento di “un organismo di tre soggetti che, probabilmente a titolo gratuito, vigileranno sui flussi di denaro del Pnrr”. Chi ha provato di tanto in tanto a scuotere Razza, per liberare la sanità da clientele e corruzione, è stato il segretario del Pd, Anthony Barbagallo. Che oggi, a metà fra Palermo e Montecitorio, è tornato alla carica: “La sanità è un abisso, un buco nero fatto di affari e tangenti. In cui per fortuna arriva a far luce la magistratura che, con la Procura di Palermo e la Guardia di finanza, scovano tangenti e scambi di favori tra funzionari pubblici e imprese private. Un clima d’altro canto pesante che anche durante l’ultima campagna elettorale avevamo registrato e più volte sottolineato, quello che riguarda le clientele nel mondo della sanità”. Ma negli ultimi cinque anni, ad eccezione dei soliti interventi dai banchi dell’opposizione che gridano allo scandalo, non è rimasta traccia di un’iniziativa seria e concreta. “Certo fa riflettere – prosegue Barbagallo – che le uniche feroci discussioni in vista della composizione della giunta riguardino proprio chi dovrà occupare il posto di assessore alla Salute. Invito il presidente Schifani a farsi garante non solo dell’unità del centrodestra ma anche degli interessi e della salute di tutti i siciliani”.

La sanità in effetti riguarderebbe la salute di tutti. Non dovrebbe essere il bancomat della politica, dove funzionari infedeli, faccendieri senza scrupoli e aziende private si permettono di affondare le grinfie (l’ultimo scandalo vale 700 milioni, mica bruscolini). Questa è un’offesa ai siciliani e al ruolo della politica stessa. Che non può restare inerme. O sarà ritenuta responsabile tanto quanto i malfattori che la usano, o la by-passano, per arricchire le proprie tasche.