Sarà una lunga settimana di passione per Leoluca Orlando e il Comune di Palermo, impantanati in una “verifica” dei conti che sembrano non tornare mai. Tra commissariamenti e bocciature (l’ultima quella del collegio dei Revisori dei conti sul consuntivo 2017), ieri il Bilancio di previsione 2018, approvato dalla giunta municipale, è giunto a Sala delle Lapidi per la discussione. E mentre il sindaco – che preferisce di gran lunga i balletti sfrenati e le missioni umanitarie – difficilmente si vedrà in aula (ha partecipato a una riunione di maggioranza in cui avrebbe minacciato un’azione legale contro i Revisori), in Consiglio sono in molti a dare battaglia.

Alla lista si è iscritto per primo Fabrizio Ferrandelli, il “coraggioso” per eccellenza, che la settimana scorsa, assieme a Cesare Mattaliano, ha firmato e consegnato al notaio le sue dimissioni. L’obiettivo è dare un segnale e impegnare gli altri membri dell’opposizione a seguirlo: raggiungendo il quorum di 21 consiglieri, l’organismo andrebbe sciolto e si procederebbe a nuove elezioni.

L’obiettivo, al momento, è coraggioso quanto utopistico. Perché ha scelto di procedere in questo modo?

“Intanto va detto che le dimissioni diverranno formali solo al raggiungimento del quorum. Ho scelto così perché bisogna fare in fretta. Dato che i tempi per la presentazione della mozione di sfiducia non sono maturi – occorrono due anni dall’inizio del mandato – non c’era altra soluzione. Un ruolo, d’altronde, viene ricoperto solo dal momento in cui si è nelle condizioni di esprimere delle proposte o un punto di vista. Qui non è possibile”.

L’ha seguita subito la Lega e, anche a margine di un incontro avuto ieri assieme ai vari gruppi d’opposizione, sembra possiate raggiungere le quindici unità. Farà appello anche alla maggioranza?

“Il mio invito è rivolto a tutte le forze politiche. Nella maggioranza spero di intercettare delle teste pensanti. Ci sono diversi consiglieri che stimo, che rappresentano realtà territoriali importanti come la cultura, l’associazionismo e il volontariato. Chi è un elemento terminale della politica, come un consigliere comunale appunto, non può farsi prendere in giro da questo tirare a campare, da queste cure palliative che continuano a propinarci in tema di Bilancio. Non siamo ancora nella fase di morte, ma bisogna intervenire chirurgicamente. Subito. Io non sono uno che minaccia le dimissioni e basta: le ho già date da scranni più alti, ad esempio al parlamento siciliano”.

Lei, che fa parte della Commissione Bilancio, ha proposto di bocciare lo strumento portato in aula dalla giunta Orlando. Perché?

“I due commissariamenti ottenuti per il consuntivo 2017 e il previsionale 2018, ma anche i rilievi del Ministero dell’Economia, della Corte dei Conti e, non ultime, le valutazioni del collegio dei Revisori, indicano l’incapacità gestionale del sindaco di Palermo. Questi due bilanci dovevano essere approvati, da cronoprogramma, a marzo e aprile 2018. Siamo in ritardo di sette mesi. Oltre all’incapacità gestionale, sta emergendo anche una certa difficoltà nel riordinare queste carte sulle base delle indicazioni mosse dagli interlocutori terzi”.

Qual è la questione che ritiene più scottante?

“Senz’altro il disallineamento da 70,7 milioni di euro nei confronti delle aziende controllate, come Amat e Rap. Il Comune dovrebbe riconoscere loro i “crediti” iscritti nei rispettivi bilanci, ma una recente direttiva del sindaco ha stralciato queste somme, chiedendole indietro. Il dottor Jekyll dimentica di essere Mr Hyde… Ci sono responsabilità oggettive, amministrative e di natura patrimoniale, segnalate anche dalla Corte dei Conti. Chi vota questo Bilancio rischia di avallare un dubbio sollevato e rispetto al quale non c’è chiarezza”.

Negare questi crediti non mette a rischio i Bilanci delle partecipate?

“Rischia di mandarle in malora. Il mio programma elettorale, rispetto a quello di Orlando, è stato elaborato nella consapevolezza del disastro dei conti. Il tempo è galantuomo e sta restituendo quella che secondo me è una verità accertata: ossia che il Comune di Palermo si trovi in una condizione di dissesto funzionale. Ossia la condizione in cui si trovano tutti quei comuni che, pur riuscendo a mettere insieme le imposte di Bilancio, non possono erogare servizi ai cittadini: dagli asili nido alla pubblica illuminazione ai rifiuti. E’ una situazione che precede il dissesto finanziario”.

Fin qui la motivazione tecnica. Ce n’è anche una politica?

“E’ evidente. Il sindaco ha l’ostinazione di proseguire dritto per la propria strada, facendo finta che non sia successo nulla. Per questo dobbiamo bloccare la guida della città. E poi, riconoscendo che esiste un problema, si potrebbero attivare misure di riequilibrio per venirne fuori: come spalmare il debito su dieci anni o negoziare una ripartizione con lo Stato. La risposta politica di Orlando non può essere il rimpasto”.

Potrebbe esserci un nuovo assessore…

“A me non importa il nome dell’assessore, ma la linea politica che seguirà. Non mi importa chi lo sponsorizza, ma le proposte per uscire dalla condizione deficitaria in cui ci troviamo. Stiamo galoppando verso lo sfacelo. Non c’è stato un atteggiamento di dialogo costruttivo con le opposizioni per entrare nelle proposte e cambiare il senso di marcia. Da qui nasce l’idea delle dimissioni”.

Come affronterete la questione in Consiglio?

“Escludo che sarà una passeggiata o che si arriverà al voto in fretta. Anche se non ci sarà l’assessore di riferimento, sarà tema di discussione e lasceremo a verbale ogni singola traccia relativa a tutti coloro che hanno responsabilità politiche e amministrative. Sarà una lunga settimana. Serve chiarezza sullo stato in cui versa questo Comune, perché rischia di condizionare profondamente il futuro della città”.

Parla con tante persone. Ma la più “celebre”, al momento, è Nello Musumeci. Su cosa vertono i colloqui? E’ sul tavolo una proposta politica unitaria che mette insieme i Coraggiosi e Diventerà Bellissima?

“Io e il presidente Musumeci abbiamo un rapporto antico. Ero suo vice nella commissione regionale Antimafia, quindi la nostra è una relazione rodata. Lui, essendo il presidente della Regione, non può che essere l’interlocutore privilegiato per il leader dell’opposizione di una città che vede l’assenza del sindaco e che, proprio dalla Regione, ha ricevuto recentemente tre commissariamenti. Il capo dell’opposizione o interloquisce e porta a casa dei risultati, o farebbe meglio a iscriversi al club della bocciofila”.

Ma c’è anche una vicinanza a livello politico e di pensiero?

“Il dialogo è reso più facile dal fatto che molti esponenti della maggioranza che sostengono Musumeci hanno inserito dei candidati nelle mie liste alle ultime Amministrative. E poi io devo parlare con quanti costituiscono l’altro fronte della barricata rispetto a Orlando, e i consiglieri di Diventerà Bellissima a Palermo lo sono. Condividiamo, in un’epoca di crisi per i partiti, l’esigenza di mettere insieme quelle realtà che non hanno un partito dietro, ma vogliono trovare un terreno comune per avviare un dibattito. Che il dialogo possa diventare più serio, è auspicabile per tutti. Ma nessuno può determinarne tempi e modalità”.

Il Pd è un’esperienza conclusa?

“Già nel 2015, in contrasto con la scelta di aderire al governo Crocetta, mi sono dimesso sia da parlamentare regionale che dal partito. Da quel momento non ho più rinnovato la tessera. Qualsiasi dubbio residuo è svanito a gennaio di quest’anno, quando è arrivata l’adesione al Pd di Orlando e Giambrone. Mi spiace perché ho lasciato una comunità umana e politica con tante qualità. Ma pur avendo simpatia per alcuni amministratori e componenti, e pur avendo condiviso percorsi, non posso che stare dall’altra parte”.

Diventerà Bellissima, per un uomo cresciuto a sinistra, non sembra esattamente un approdo naturale…

“Io ho sempre rappresentato le vertenze e il territorio. La mia proposta politica nasce dai programmi e la mia affermazione dalle preferenze. Non sono un paracadutato, ma uno che alle ultime elezioni ha preso 10mila voti in più delle liste che lo sostenevano. Con questo intendo affermare la mia coerenza e dire che mi sento legittimato a discutere con tutte le realtà civiche che mi permettono di poter immaginare percorsi di utilità collettiva. So chi sono, da dove vengo, ma anche dove voglio andare. Rispetto alla disarticolazione politica a cui assistiamo, credo di essere quasi un antesignano. Perché ho capito che non esiste un argine legato all’appartenenza. Conta soltanto ciò che si vuole fare”.