In corsia non esistono corsie preferenziali. Tanto meno prime donne. E’ questo il mantra di Corrado Tamburino, 60 anni, direttore del centro di cardiologia interventistica di Catania. Il super cardiologo. “Provengo da un’impostazione vecchio stile e per questo faccio di tutto per risparmiarla a chi lavora con me” ha spiegato al “Corriere della Sera” Tamburino, che ad appena 41 anni è diventato professore ordinario e solo tre anni dopo era primario ma anche il capodipartimento più giovane d’Italia.

Un record di precocità che gli ha posto di fronte una marea di sfide. E in una Sicilia che troppo spesso si consegna all’assalto dei media con storie di mala sanità, esiste la cittadella del cuore, a Catania: fa parte del Cast (Centro alte specialità e trapianti) del Policlinico Universitario. La cardiologia interventistica è una branca specialistica che si occupa di “riparare” con dei cateteri le strutture del cuore danneggiate da malattie alle coronarie o da valvole che non funzionano.

Non è esattamente il lavoro più agevole al mondo. Ma Tamburino ha dalla sua un’esperienza notevole e una pazienza conclamata. E una grande abilità per l’insegnamento: “Metto a disposizione della squadra tutto il mio sapere in modo che imparino presto tutto quello che so fare e alla fine del percorso formativo sappiano operare meglio di me”. La brillante visione di Tamburino non fa prigionieri: da lui ci si afferma secondo il principio della meritocrazia liberale e di una leale competizione.

Non è un caso che dalla cittadella del cuore di Catania numerosi medici – tutti giovanissimi, e sta qui l’esclusività della storia – siano finiti all’estero, pressati dalle richieste. Dalla Svezia a Vancouver agli Stati Uniti: c’è un pezzo di Sicilia che ci sa fare. Professionalità smodata e metodo che funziona. Merito di un signore di 60 anni che ne ha passate tante, e vede nella passione dei suoi allievi quello che era lui un tempo. Dopo aver formato abbastanza, Tamburino sta già pensando a una “exit strategy” e a una pensione comoda e meritata. Prima, però, va completata l’opera.