Il fascismo tra noi lo cogli pure di mattina al bar. Sorseggi il caffè e se sei vintage sfogli perfino un quotidiano di carta. Nel frattempo il vicino di tavolo e di quartiere, lo conosci di vista e sai che è professore in pensione, conciona a voce alta per far lezione. “Il caffè al bar si paga col pos”, scandisce. “Altrimenti sei fascista. O leghista”.  Abbassa la voce ma non troppo, si guarda attorno con circospezione e sibila: “Oppure sei mafioso”. Addirittura.

E già non sai se è maggiore l’esibizione di pubblico sprezzo del pericolo mafioso oppure del ridicolo tout court. Povero professore. Anche lui vittima del conformismo, di quella omologazione che oggi, a partire dai media e dai social, pervade tutto. Pervade qualsiasi percezione di ciò che ci circonda.

Un nuovo populismo calato dall’alto in cui la narrazione della realtà diventa essa stessa realtà. Non è l’uso del pos in discussione. Ma questo specifico, ostentato “Vorrei e pos”. Anche per sciocchezze. Urgenze minime e superflue come il caffè al bar. Che gliene importa di come si paga al vecchio professore, un tempo classe media e oggi ridotto a bracciante della cultura, reddito fisso tra i più bassi d’Europa rispetto al ruolo sociale che dovrebbe ricoprire.

Il “nuovo fascismo”. Lo aveva previsto Pier Paolo Pasolini, di cui quest’anno ricorre il centenario dalla nascita. In un articolo per il Corriere della Sera del primo marzo 1975 Pasolini scrive che “come polli di allevamento, gli italiani hanno assorbito la nuova ideologia irreligiosa e antisentimentale del potere: tale è la forza di attrazione e di convinzione della nuova qualità della vita che il potere promette. E tale è, insieme, la forza degli strumenti di comunicazione (specie la televisione) di cui il potere dispone. Come polli d’allevamento, gli italiani hanno accettato la nuova sacralità, non nominata, della merce e del suo consumo”.

Non ci addentriamo nel mondo delle banche, su cosa comporta l’uso della moneta elettronica, su commissioni, annessi e connessi. Ma sarà l’euro del caffè la metafora più attuale dell’evasione fiscale? In un paese dove i veri ricchi hanno almeno sedici società off shore, non pagano tasse in Italia e ottengono prestiti per miliardi di euro dalla banche, con “formule innovative” (come scrivono i giornali di loro proprietà), le quali non sono altro che la garanzia dello Stato italiano? Un paese così arzigogolato nella metafisica delle burocrazie di governo che poi il potere fa ciò che gli pare. Come sempre.

Certo, in modo più subdolo e ipocrita del fascismo “archeologico” del ventennio, come lo definiva Pasolini. Ma con l’intento perenne del massimo consenso possibile. L’agognato pensiero unico dedito a magnificare le vesti del sovrano senza mai dire di vederlo nudo. Un pensiero omologato che non si ponga domande e, soprattutto, non le ponga, che non contesti, che non metta in relazione. Anzi, in correlazione.

Contro questo potere fatto di complicità interconnesse Pasolini affermava la sua verità. “Dire la verità è un atto rivoluzionario nel tempo dell’inganno universale”.

Negli ultimi decenni il professore avrà insegnato in scuole dove man mano non si è più studiata la geografia, la storia ridotta a poca roba. E chissà l’attenzione nei confronti dei migliori scrittori del Novecento italiano, Calvino, Fenoglio, Elsa Morante, per esempio. E soprattutto Sciascia e Pasolini, gli autori che hanno messo più a nudo la società italiana. Spesso sostituiti da figuranti “un tanto al chilo” dell’impegno civile.

Chissà se il professore ha fatto in tempo ad assegnare riassunti. Ormai trapassati di moda. Forse proprio perché insegnano l’arte di andare al nocciolo della questione. Nel segno della “consecutio temporum”, e quindi della logica.

“Ciò che il potere vuole è completamente arbitrario; o dettato da sua necessità di carattere economico, che sfugge alle logiche razionali”, affermava Pasolini in un’intervista a margine del suo ultimo film “Salò e le 120 giornate di Sodoma”, ambientato nel luogo simbolo dell’ultimo regime di Mussolini. Film terminato nel 1975, poco prima che Pasolini venisse assassinato all’Idroscalo di Ostia in circostanze ancora oggi oscure.

Ecco “la prepotenza del potere” secondo Pasolini. E le sue “necessità di carattere economico” prive di raziocinio e di logica. Un’immagine che si materializza negli attuali ritrovamenti di smodate cifre in contante (ah, se pos) nelle case di eurodeputati e assistenti italiani al Parlamento Europeo. A loro insaputa, va da sé. Lo chiamano “Qatar Gate”. Ma i giornali stranieri titolano su “The Italian Job”. Con riferimento alla consolidata tradizione nazionale di pouf da salotto imbottiti di denaro, cucce di cani, borse per la spesa, sacchi di plastica altrimenti dedicati a immondizie o alla raccolta di prodotti agricoli, nascondigli impensati e impensabili. L’immaginazione al potere.

E noi trattati alla stregua di Pinocchio “così dolce di sale da credere che i denari si possano raccogliere nei campi”. Come lo sventato burattino che nel romanzo di Collodi pianta gli zecchini d’oro che gli ha regalato Mastro Geppetto. Sperando di veder crescere un albero, l’albero degli zecchini. Ma quei cattivoni del Gatto e della Volpe hanno già arato il terreno. A loro esclusivo beneficio.

Ecco “l’anarchia del potere” pronosticata da Pasolini come tirannia della civiltà dei consumi, “come normalità; come codificazione del fondo brutalmente egoista di una società”. Un nuovo fascismo capace di trasformare e imbrigliare il paese ancora più in profondità di quanto non fosse riuscito a fare il regime di Mussolini. Un nuovo fascismo che “manipola i corpi in un modo orribile, nulla da invidiare alla manipolazione fatta da Himmler o da Hitler”, avvertiva Pasolini nel 1975.

Negli “Scritti Corsari” Pasolini descrive anche “la manipolazione artificiale delle idee con cui il neocapitalismo sta formando il suo nuovo potere”. Acquietando il senso critico, annichilendo lo spirito di ciascuno, “togliendo realtà ai vari modi di essere uomini”. Un fascismo nuovo che ha screditato il sacro. Anzi, “si è valso proprio delle conquiste mentali di laici, di illuministi, di razionalisti, per costruire la propria impalcatura di falso laicismo, di falso illuminismo, di falsa razionalità. Si è valso delle sconsacrazioni per liberarsi di un passato che non gli serviva più. In compenso però tale nuovo potere ha portato al limite massimo la sua unica possibile sacralità: la sacralità del consumo come rito, e, naturalmente, della merce come feticcio”.

Povero professore che ne è inconsapevole testimonial. Borghese minimo, forse metafora de “L’uomo di Bandung”. A cui Pasolini augurava in versi figli davvero fascisti.