Il mio viaggio all’Ast è un autobus senza tempo, che macina chilometri e vite di provincia.
Il mio viaggio all’Ast è una bussola che si apre e si chiude ai vecchietti, agli studenti, alle signore d’ogni dove e ai signori d’ogni ceto, trasportati in lungo e largo per strade polverose di contrade e di città.
Il mio viaggio all’Ast è un autista che ogni giorno fa le sue ore di fatica, per portare a casa un pezzo di pane.
Il mio viaggio all’Ast è un operaio dell’officina, che aggiusta pezzi, cambia componenti, appronta soluzioni, rimette in sesto gomme e ferraia… e si riparte.
Il mio viaggio all’Ast è un palazzo a vetri di otto piani, che pulsano di vita e di fatica, competenza ed insipienza, riverenza e noncuranza, fino ad arrivare lassù, dove i muri trasudano politica e le poltrone bruciano di responsabilità.
Il mio viaggio all’Ast è il saluto mattutino dei portieri a pianterreno, il buon caffè annacquato della mia segretaria, la faccia tirata di un direttore, i fogli in mano di un funzionario, il tavolo ovale del consiglio d’amministrazione, le scrivanie laboriose dei piani bassi, alti e medi.
Il mio viaggio all’Ast è un sindacalista che lotta, si dimena, difende un diritto con le unghie, propugna le sue idee con i denti.
Il mio viaggio all’Ast è un luccichio agli occhi, che sempre colgo in quel postulare u posticeddu pi me’ figghiu; ed il cuore mi si stringe nel vederli come prostrarsi al cospetto di un uomo qualunque, che per loro è un gigante.
Il mio viaggio all’Ast è la scelta continua tra ciò che è giusto e ciò che è conveniente, tra il coraggio e la paura, tra una porta sempre aperta e il vociare dei corridoi, tra un favore e un secco no.
Il mio viaggio non è tutto rose e fiori e c’è poco di poetico in quel frullatore di problemi ed emergenze ed esigenze e di vertenze che la quotidianità produce in quantità. Del resto, non c’è viaggio che non conosca insidie o disavventure, ma ciò che interessa al viaggiatore non è tanto il cammino quanto l’approdo. E il mio viaggio all’Ast ha l’approdo sicuro di una nave da far rientrare in porto, di un autobus da portare in rimessa; ogni giorno, ogni santo giorno.
Nello Musumeci le definisce spine nel fianco, l’irruenza populista da tempo ci va giù più pesante chiamandole “carrozzoni, mangiasoldi, le inutili partecipate, la vergogna del Paese”.
Io la chiamo Ast, ne sono il vicepresidente e sui suoi autobus corre la vita di tanti siciliani, scorre il sangue e pulsa il cuore di tanta vera Sicilia.