Nella vicenda dei Carabinieri di Piacenza c’è molto di più che lo scandalo dell’infedeltà di alcuni militari alla Benemerita, che rimane un pilastro della nostra convivenza democratica. In quegli abusi, in quei traffici, in quei pestaggi c’è la sopravvivenza di una certa Italia, la cui storia non è terminata con gli ultimi, disperati giorni di Salò, nella cupa atmosfera lacustre che vide compiersi la tragedia del fascismo nel furore sadico dei suoi pretoriani già sconfitti. Salò o le 120 giornate di Sodoma, il film che Pasolini trasse dal libro del marchese de Sade, schiude uno spiraglio di comprensione sull’orgia del potere messa in scena dentro e fuori la caserma “Levante”, finita sotto sequestro, in uno sfrenato crescendo di sopraffazione rapina e vanagloria, che riproduce, su scala ridotta, il crepuscolo violento e opulento di ogni tirannia, la sazia e libidinosa dissoluzione delle avventure fondate sulla sistematica riduzione dell’altro a strumento di piacere o di profitto. Quanto vasta e profonda è nel paese questa infezione di individualismo predatorio, di edonismo e di autoritarismo, se uomini di legge hanno potuto tanto agevolmente mutare il segno della propria obbedienza, trasformandosi per lungo tempo, nelle condotte istituzionali come nei costumi privati, in grotteschi ibridi tra camorristi e scherani di Pinochet, usurpando persino l’encomio dei comandi?

Già trent’anni fa, in Emila Romagna, la banda della Uno bianca, prevalentemente composta da agenti della Polizia di Stato con tendenze politiche di estrema destra, mise a segno un impressionante numero di rapine e omicidi, prima di venire sgominata. Nel 2001, a Genova, durante il G8, uomini dell’ordine, probabilmente agiti da una malintesa sintonia psicologica e politica con alcuni ministri del governo di centrodestra, fisicamente presenti nella sala operativa della Questura del capoluogo ligure, si resero responsabili della “più grave violazione di diritti umani in un paese democratico dal dopoguerra” (sono le parole del Pubblico Ministero al processo che seguì quei fatti). Lo spirito di Salò sopravvive e prospera laddove i valori della nostra Costituzione non sono debitamente coltivati. Specialmente all’interno delle istituzioni cui è affidato il monopolio legittimo e moderato della forza, in ogni commissariato, in ogni caserma, i 139 articoli entrati in vigore l’1 gennaio 1948 devono con urgenza diventare l’identità stessa degli uomini in arme, prevalendo su ogni altro statuto, su ogni altra tradizione. I miasmi del settarismo degenerato non si disperderanno con le punizioni e le radiazioni, ma solo facendo circolare nei reparti, sempre di più, l’aria netta delle idee e dei principi della nostra carta fondamentale, che è democratica, solidaristica, garantista e antifascista.