Quel che resta del Covid – sostanzialmente: i precari – rischia di mandare in frantumi il centrodestra. Perché mentre Schifani, Volo e il presidente dell’Ars Galvagno sottoscrivono una nota per rinviare la vertenza di tecnici e amministrativi al futuro prossimo, i parlamentari di Fratelli d’Italia alla Camera sferrano l’attacco che non t’aspetti: “Non comprendiamo la scelta dell’assessore alla Sanità, Giovanna Volo, rispetto alla decisione di sospendere tutte le procedure per una possibile assunzione e stabilizzazione del personale amministrativo Covid”. Alla fine, una direttiva assessoriale a metà pomeriggio, mentre il dibattito d’aula entra nel vivo, evita guai peggiori: la raccomandazione rivolta alle Asp è di a “procedere a una celere ricognizione” del personale amministrativo (ma non tecnico) “finalizzata a individuare i profili esistenti nelle rispettive dotazioni organiche, ancora non ricoperti, e a verificare quanto personale – reclutato durante l’emergenza Covid – sia in possesso dei requisiti di legge, nell’ottica di una prossima procedura di stabilizzazione (…) nel limite massimo orario già fissato di diciotto ore”.

Il provvedimento in extremis, figlio di un compromesso al ribasso, sospende (o posticipa?) il regolamento di conti. Nella nota diffusa dalla delegazione di FdI alla Camera, infatti, comparivano alcune firme eccellenti, tra cui quella di Manlio Messina, attuale vicecapogruppo di FdI a Montecitorio, ex assessore al Turismo e feroce oppositore di Renato Schifani sul caso Cannes. Le chiavi di lettura, data la delicatezza dell’argomento, sono un paio: o si imbraccia il populismo più becero per far credere chissà cosa ai precari in bilico (operazione tanto facile quanto deprecabile); o siamo davvero al corpo a corpo finale. Un duello rusticano dall’orizzonte cupo.

Le prossime tappe sono già in bozza: il terzo mandato per i sindaci dei comuni sotto i 15 mila abitanti (anche qui Fratelli d’Italia e Schifani viaggiano su rette parallele: il presidente ritiene la proposta “incostituzionale”) e la scelta del candidato a sindaco di Catania e Siracusa, che vede la coalizione di centrodestra impantanata nelle proprie contraddizioni. Nulla di così diverso rispetto alla vigilia delle Amministrative di Palermo, la primavera scorsa, quando la proposta si era spacchettata in mille soluzioni: erano candidati Lagalla, Cascio, ma anche Lentini e la Varchi. E persino prima delle Regionali, dopo l’addio a Musumeci, s’è sfiorata la crisi diplomatica. Ma una cosa è la politica, e una cosa è il lavoro.

Per quanto concerne la questione dei precari, il governo regionale è colpevole. Dopo aver ottenuto la proroga a dicembre per il rotto della cuffia (nonostante la fine dello stato d’emergenza), s’è addormentato in vista della nuova scadenza. E stavolta, al termine di due settimane funeste su tutti i fronti (con un’altra vertenza aperta: quella dei privati convenzionati), ha dovuto desistere. Almeno in parte. Per tecnici e informatici, ad esempio, non ci sono i soldi e non c’è neppure il posto in dotazione organica. Chi aveva dato una mano per il Covid, in sostanza, non è più utile. Ma l’elemento peggiore di questa vicenda, oltre al tempismo, è l’olezzo di beffa che si dipana dai palazzi: “L’attuazione della rete territoriale di assistenza, con l’attivazione di case e ospedali di comunità e delle Centrali operative territoriali (Cot) – era stata l’ennesima promessa sinistra dell’assessore Volo – fornirà un’occasione utile per il recupero delle professionalità rappresentate dal personale amministrativo e tecnico impiegato nell’emergenza Covid che, nell’immediatezza, non può essere inserito nelle piante organiche degli enti e delle aziende del servizio sanitario”.

Ma di cosa stiamo parlando? Pressoché del nulla. Case e ospedali di comunità, che dovrebbero sorgere entro il 2026 (pena la perdita dei finanziamenti previsti dal Pnrr) sono ancora in divenire. Agganciare le speranze dei precari a un treno fermo sui binari è un’operazione di cattivo gusto, che nessuno tra i gruppi parlamentari si beve. Fuori dall’aula, prima del coup de theatre, fioccano i comunicati. Dentro si discute. Galvagno con una manovra felina modifica l’ordine del giorno e lascia spazio a un dibattito sulla sanità. Chi manca? Ovviamente Schifani e la Volo. A fare le loro veci è rimasto l’assessore Falcone, le cui argomentazioni non convincono. “Dobbiamo prorogarli entro oggi – tuona Micciché – Altrimenti sappiamo come andrà a finire…”. Con un nulla di fatto. Fratelli d’Italia e i gruppi di De Luca rimarcano l’assenza dell’assessore, ritenuto il primo responsabile di questa impasse. Un presidente di calcio, di fronte ai risultati di questo avvio di legislatura, avrebbe esonerato l’allenatore. Schifani per il momento ha deciso di salvarla.

Ma gira e rigira sono scontenti quasi tutti. A partire da una fetta di precari – circa un migliaio – che finiscono dritti in un altro bacino da alimentare col sondino, Finanziaria dopo Finanziaria. Come è già accaduto con i Pip, con gli Asu, coi Forestali, coi lavoratori dei Consorzi di bonifica. “Non essendoci più esigenze particolari di gestione, risulta impossibile, tanto per l’esecutivo che per il parlamento regionali, nell’immediatezza, intervenire con nuove proroghe”, aveva detto la Volo, mettendo palesemente le mani avanti. E suscitando la reazione stizzita di Forza Italia, lo stesso partito del governatore. Per la senatrice Daniela Ternullo, infatti, “anche dal punto di vista economico, grazie alle somme stanziate con il decreto Calabria, sono disponibili le risorse per la copertura finanziaria di un eventuale incremento della spesa per il personale delle aziende sanitarie. La Regione Siciliana ha in mano gli strumenti tecnici, legislativi ed economici per procedere ad una proroga ponte in vista dell’attivazione di un percorso di stabilizzazione necessario se vogliamo immaginare una sanità pubblica efficiente ed al servizio dei cittadini”.

Insomma, la partita scorre lungo due direzioni. La prima vede contrapporsi la “casta” e i precari, per il motivo di sempre: agli uni spetta decidere, agli altri (quando va bene) lavorare nell’incertezza. La seconda direzione, invece, rischia di condizionare gli equilibri di governo, che risultano più fragili ogni giorno che passa. I partiti della maggioranza, tranne rare in occasioni (la Finanziaria), non hanno mancato di far notare a Schifani & Friends le proprie lacune. Talvolta, con una manina esterna, hanno determinato le decisioni (ricordate la scelta degli assessori imposti da Roma?); talvolta si sono schierati in aperta contrapposizione con le scelte del governo (com’è accaduto la data individuata dal governatore per le Amministrative di maggio). Il fatto che la miccia sia innescata da tutti i partiti, in maniera quasi trasversale e spesso coincidente, è un segnale sulla tenuta sempre più scarsa di un esecutivo che fin qui s’è rivelato un flop. Checché ne dica Schifani.