Forza Italia non parla più “a” nome di Silvio Berlusconi, ma “nel” nome di Silvio Berlusconi. E’ solo una preposizione, ma fa tutta la differenza del mondo. Specie quando il partito, a giugno, dovrà confrontarsi con l’esito delle urne dopo una campagna elettorale in cui il ricordo del Cav. lascerà spazio a ciò che rimane della sua eredità (politica). Non tantissimo. A tal punto che in Sicilia, già da mesi, è partita la caccia grossa: il presidente della Regione (e segretario mascherato) Renato Schifani, spera di ottenere dai vertici – leggasi Tajani – la possibilità di arruolare in lista Totò Cuffaro, in modo di poter sbandierare l’eventuale risultato in doppia cifra per ottenere uno strapuntino romano. Magari un coordinamento per le attività del Mezzogiorno, sfumato durante la “reggenza Fascina”.

Ma Cuffaro non è uno qualunque, e un pezzo di Forza Italia (o di ciò che ne resta) ha già espresso il proprio disappunto. A capeggiare l’area dei “falchi”, come ai tempi di Gianfranco Micciché, è Marco Falcone, che ha riunito lo stato maggiore del partito a Taormina, in una kermesse con molte sfumature etnee – e questa è una prima risposta ai trend palermocentrici – che fa accenno al “buongoverno”. Non siamo certi si tratti di quello siciliano, dato che in un anno Schifani e la sua squadra non hanno proposto una sola riforma da sottoporre al parlamento. Né di quello della Meloni, verso il quale i distinguo azzurro sono solidi e frequenti. Ma gli azzurri a Taormina si sono ritrovati comunque a fare festa. “Noto fermento in tutto il Paese attorno a Forza Italia – ha detto nel suo intervento conclusivo Tajani -, una gran voglia di organizzare eventi e una partecipazione con un entusiasmo che non vedevo dagli anni dell’ultima vittoria di Berlusconi come presidente del Consiglio. Il grande partito dell’astensione guarda a noi come casa. Non siamo né un taxi né un albergo a ore. Il nostro obiettivo è di avere il 20 % in tutta Italia”.

Il Ministro degli Esteri sembra aver convinto anche Schifani (“Da te mi sento garantito”) da cui non sempre, nei mesi scorsi, erano arrivate parole dolci. Il governatore siciliano, infatti, non aveva mascherato la propria riluttanza nel condividere un percorso a vocazione “nordista”, che tiene scarsamente in considerazione i risultati elettorali ottenuti al Sud e in Sicilia, e nemmeno così “inclusivista”, considerato che gli innesti di Cancelleri e Chinnici non hanno avuto alcun seguito. A volerla dire tutta, proprio Marco Falcone, ottimo padrone di casa, potrebbe covare qualche rancorino verso colui che è il re dei rancori (guai a sgualcire il copyright). Schifani infatti l’ha privato della delega alla Programmazione, commissariandolo con Gaetano Armao, che qualche mese fa è stato chiamato nelle vesti di consulente a 60 mila euro l’anno. Fra i due contendenti, Schifani e Falcone, il sereno sembra tornato negli ultimi giorni, quando il presidente si è congratulato con l’assessore all’Economia per le sue doti di gran lavoratore (apprezzato anche da Cateno De Luca, che vorrebbe farne il prossimo ragioniere generale).

Anche se poco prima, in sede di approvazione della Legge di Stabilità 2024-26, s’è rischiato l’ennesimo cortocircuito, tanto che il voto in giunta è slittato di un paio di settimane. Sarà davvero un episodio indolore? Ma non è soltanto Falcone a rappresentare una spina nel fianco (di certo l’assessore è fra i meno entusiasti del corteggiamento verso Cuffaro); bensì una fetta di partito che non accetta di dover condividere i posti in lista per le prossime Europee – già pochi, considerata la quota “sarda” – con la Democrazia Cristiana. Da qui, ad esempio, l’attacco di Margherita La Rocca Ruvolo per la gestione a tavolino delle nomine dei manager delle Asp. E, da Taormina, le esternazioni di Gasparri (“Noi alle europee ci presentiamo come Forza Italia-Ppe Berlusconi, non faremo aggiunte”) che hanno indispettito non poco lo stesso Cuffaro. Restano sub-judice le posizioni di Caterina Chinnici, la new entry “invisibile”, che ad esempio potrebbe contestare l’abbinamento coi Totò-Boys per la sua carriera specchiata di magistrato e paladino dell’antimafia. Ma l’ex Pd non si vede, per cui la questione morale è un falso problema.

Schifani, di fronte al nodo delle nomine e della campagna elettorale, dovrà affrontare – piuttosto – le sue lacune da leader di partito. Perché quello è, anche se sulla carta, dopo aver tolto di mezzo Micciché, ha affidato lo scettro a Marcello Caruso, meglio noto negli ambienti della politica come il ventriloquo del governatore. Il biglietto da visita con cui si presenteranno, entrambi, alla platea di Taormina sono i diecimila iscritti al partito. “La campagna di adesione avviata nei mesi scorsi – ha detto Caruso – ha confermato in Sicilia l’anima di Forza Italia come partito popolare per collocazione politica nel centro moderato e per radicamento nei territori e nelle comunità. Questi numeri sono il risultato di un lavoro collettivo che ha coinvolto tutti i nostri parlamentari nazionali e regionali e gli amministratori locali, ma che, soprattutto, ha visto mobilitare centinaia di entusiasti attivisti che sono la vera anima del partito in decine di città siciliane, dalle più grandi alle più piccole. E’ al loro entusiasmo che si deve la presenza capillare di Forza Italia in Sicilia, che agisce come elemento di collegamento fra le esigenze dei territori e l’azione i diversi livelli di Governo nei quali i nostri amministratori sono impegnati”.

Di questo collegamento non c’è traccia negli atti ufficiali, sempre che non si spaccino mance e contributi come attività di governo. Per altro, fra i sindaci “furiosi” rimasti fuori dalla tabellina H dell’ultimo collegato, è possibile che non ce ne sia uno di Forza Italia che abbia alzato la cornetta per contestare il criticabile operato di Schifani & Co.? Sui territori, al netto dei numeri, l’anima “popolare” del partito, riferimento del centro moderato, è provata dall’enorme crescita di Lombardo e Cuffaro. E alle ultime Amministrative, la rottura di Siracusa (Edy Bandiera è appena transitato alla corte di De Luca), ha portato il centrodestra allo sfascio elettorale, mentre in altre province, come Ragusa e Trapani, FI ha raggiunto il minimo storico, rimanendo fuori dal Consiglio comunale.

I diecimila iscritti sono un dato necessario e sufficiente per riequilibrare le sorti di una compagine politica che – al netto di aiutini vari, e senza la forte impronta di Berlusconi – sembra fare acqua da tutte le parti? Semmai Tajani dovesse imporre a Schifani di separare il proprio destino dalla DC, alle prossime Europee, i possibili effetti sarebbero due: che Schifani arrivi ai ferri corti con Tajani (scenario già prefigurato), o che Forza Italia, rinunciando ai voti di Cuffaro, sprofondi sotto la doppia cifra. Non sarebbe comunque un bel finale.