Di Chinnici non vale la pena di continuare a scrivere. Si tratta di una modesta vicenda di opportunismo che banalmente la protagonista tenta di giustificare con il suo moderatismo incompatibile con un partito di sinistra, in particolare dopo la vittoria alle primarie di Schlein. Se ne accorge dopo nove anni di permanenza al Parlamento Europeo eletta da quel Partito e dove è stata comodamente per due legislature naturalmente componente del gruppo socialista.

Ma il Partito democratico come sceglie i propri candidati per palazzo d’Orléans e per alcuni tra i maggiori comuni dell’Isola? Sarebbe normale che una forza politica preparasse per tempo tra i propri militanti i competitori per rappresentarla, individuandoli tra quelli dotati di una identità forte, con idee e progetti elaborati nel tempo e con una storia che li renda credibili.

Ovvio!, si direbbe. Eppure tra i democratici siciliani non è stato così. Intanto spesso hanno dato la sensazione che, se avessero potuto, si sarebbero volentieri sottratti al voto. Dovendolo per forza affrontare, hanno finito per farlo in modo, per così dire, “laterale”, imboccando scorciatoie e cercando i candidati fuori dal recinto della militanza, quasi ad annacquare la partecipazione, a dire “siamo costretti ad esserci, lo facciamo malvolentieri e non con persone a noi direttamente intestate. Evitiamo che sia uno di noi. Evitiamo oltretutto un sanguinoso scontro tra le correnti”.

I Democratici hanno cosi cercato all’interno della cosiddetta Società civile.

Una vera e propria fuga dalla realtà per un luogo mitico dove annacquare insipienza e debolezza.

A cominciare dal 2012 con Crocetta, un po’ dentro il Pd, più dentro l’antimafia militante, ché il danno da lui fatto alla Sicilia e al Partito non è stato ancora smaltito del tutto.

Nel 2017 si puntò sull’allora rettore dell’università di Palermo, che preferiva dichiararsi orlandiano piuttosto che democratico. Dopo la breve parentesi elettorale, è tornato dentro la “società civile”, libero dalle insegne che aveva temporaneamente indossato, si capisce con evidente imbarazzo. Lì è rimasto nascosto, a prova di una totale mancanza di vocazione per l’impegno civico.

Lo stesso è capitato con Franco Miceli, candidato a sindaco di Palermo, anch’egli inabissatosi, con un evidente sospiro di sollievo, dopo aver conosciuto il magro risultato delle votazioni.

Con l’occhio rivolto all’antimafia, nel settembre scorso, si è arrivati ad una sua icona. Giusto alla Chinnici che ha affrontato la competizione per Palazzo d’Orleans con una ritrosia, un’assenza di passione così evidenti da apparire imbarazzanti. Resta ancora da capire chi l’avrebbe costretta. Per la verità in tanti sono andati a supplicarla e il più insistente è stato Barbagallo, alla nota “autorevolezza” del quale probabilmente l’icona non ha saputo resistere.

Per un grande partito, il maggiore dell’opposizione, è un modo di procedere davvero bizzarro. Se esso non è adatto a fare politica, a selezionare classe dirigente, a stare dentro la società, ad avere i sensori necessari per percepire gli umori della gente, se non ha più i luoghi dell’incontro e dello scambio, finisce inevitabilmente per doversi nascondere, per camuffarsi. Deve ogni volta ricorrere di conseguenza al “podestà straniero”, sbagliando, oltretutto, quasi sempre.

A proposito, si è sicuri che il “civico” candidato a Catania sia quello giusto? Certo, se lo ha scelto Barbagallo, con tutto il rispetto per Caserta e incrociando le dita, qualche dubbio sorge! Cosi, per scherzare alla fine. O si fa un partito con una classe dirigente all’interno della quale trovare i candidati per le più importanti cariche o ci si affida ad una di quelle società di “tagliatori di teste” che individuano le persone giuste per i diversi ruoli aziendali. Se poi l’operazione risultasse costosa, chi scrive sarebbe disposto a mettere a disposizione del partito la propria lunga esperienza. Magari per un esame, anche solo propedeutico, di chi venisse scelto all’interno della società civile.

Gratis, naturalmente.