Il passaggio delle primarie, per Caterina Chinnici e il Partito Democratico, è il “momento zero” di una campagna elettorale che ha ancora tutto da dire. Inoltre, rischia di tradursi in una incoronazione senza sudditi, giacché i rapporti fra Pd e Cinque Stelle sono ai minimi storici, e lo stesso Letta ha dichiarato conclusa l’alleanza organica fra i due partiti. In attesa di capire a capo di quale coalizione sarà, e chi saranno i suoi sfidanti, offriamo a Caterina Chinnici un passatempo estivo: scoprire cosa non ha funzionato in cinque anni di governo Musumeci, così da poter superare l’assunto – francamente impopolare a queste latitudini – che “io non do pagelle, quelle spettano ai siciliani”.

Finora la Chinnici si è sempre tenuta alla larga dalle polemiche. Ma l’analisi dell’operato di un governo in carica, il governo “delle destre” che il Pd ambisce a battere, parte da un’analisi seria delle malefatte. Non avere nulla da eccepire rispetto a Musumeci & friends, significherebbe condividerne le scelte e il percorso, avallare la gestione del suo ‘cerchio magico’, e legittimare i dubbi dei più “maliziosi” che vedono dietro il successo dell’europarlamentare l’ombra di Raffaele Lombardo, un personaggio che ha contribuito a forgiarla politicamente e dal quale non s’è mai distaccata del tutto. Lombardo e il suo movimento sono tuttora parte integrante del governo (e soprattutto del sottogoverno) regionale.

Alla Chinnici consigliamo di cominciare dalla fine. Dallo scandalo dell’Ente minerario, con un balletto da venti milioni fra Palermo e Londra, che trova il suo antefatto nella delibera n.92 del 2018 (con cui è stata “defenestrata” la liquidatrice Rosalba Alessi): nessuno se n’è ancora occupato, sebbene Musumeci abbia chiesto e ottenuto di prenderne nota. Sarebbe l’ennesimo teatrino di una stagione occulta, in cui spregiudicati avventurieri – già noti alle cronache giudiziarie – penetrano nei corridoi degli assessorati ponendo le basi per laute ricompense. Personaggi di dubbia moralità che, fra l’altro, è stato Antonello Cracolici, deputato regionale del Pd, il primo a denunciare. Quello dell’Ems è un intrigo che avrebbe bisogno di risposte tanto quanto lo scandalo del censimento fantasma, che a distanza di 15 anni, e in assenza di una pistola fumante, è caduto in prescrizione sotto il profilo delle responsabilità contabili e politiche.

I vecchi padroni della Spi, acronimo di Sicilia Patrimonio Immobiliare, hanno conosciuto le peggiori traversie giudiziarie. Eppure lo sperpero di 110 milioni, per un censimento che tuttora risulta ‘inservibile’, grida vendetta. Come la gestione, e questo alla Chinnici potrebbe interessare molto, delle società partecipate della Regione. Basta riaprire siti e giornali dei mesi scorsi, consultare la relazione dell’Antimafia di Claudio Fava o leggere la ricostruzione della Procura di Palermo, per capire cosa fosse diventata l’Ast: cioè un verminaio di favori e corruzione, dove la gestione del personale era “pesantemente condizionata da logiche clientelari e da pressioni politiche”. L’operazione della Guardia di Finanza non esula dalle responsabilità di governo. In particolare dell’assessorato all’Economia, cui spetta la vigilanza gestionale su enti e società. Ivi compresa la proposta di revoca del Consiglio d’Amministrazione, vero responsabile delle azioni del direttore generale, i cui comportamenti sono agli atti dell’inchiesta.

L’aspetto più devastante della vicenda Ast riguarda le assunzioni. Fava parla di “procedure viziate che si erano consolidate nel corso degli anni. E che fanno temere un uso altrettanto spregiudicato dello strumento delle interinali anche per altre società partecipate dalla Regione siciliana”. Ma non è l’unica pecca in capo all’esecutivo, che queste partecipate, nel corso degli anni, avrebbe dovuto snellirle. Tra le raccomandazioni fornite da Roma in occasione della firma dell’Accordo Stato-Regione del 2021, lo stesso che avrebbe consentito alla Sicilia di spalmare 1,7 miliardi di disavanzo in dieci anni, vennero inserite un paio di clausole improrogabili: la completa attuazione delle misure di razionalizzazione previste nel piano delle partecipazioni societarie e il completamento e la definitiva chiusura delle procedure di liquidazione coatta delle società partecipate e degli enti in via di dismissione. Macché. Un solo ente – il Cape – è stato archiviato. Gli altri, come dimostrano l’Ems o l’Espi, sono in liquidazione da vent’anni o giù di lì. Molte società che lo stesso Armao aveva promesso di accorpare – Sicilia Digitale, la Società degli Interporti e il Parco Scientifico Tecnologico (per fare un esempio) – continuano a respirare autonomamente. E poco importano, come nel caso dell’ex Sicilia e-servizi, le implicazioni giudiziarie della governance di turno, le difficoltà dei lavoratori, l’assenza di prospettiva. Restano le poltrone. Occupate come sempre.

La moralizzazione della cosa pubblica di cui la Chinnici si è già fatta promotrice, dovrebbe passare ai raggi X l’uso scriteriato delle risorse pubbliche. Come nel caso del progetto fotografico, costato un paio di milioni, che l’assessorato al Turismo ha esportato a Cannes per il Festival del Cinema; o i 700 mila euro di fondi comunitari spesi per uno spot di trenta secondi in cui si elogia l’operato del “governo del fare” (pubblica utilità o campagna elettorale?); o la vagonata di soldi finita in tasca ogni anno a grossi gruppi editoriali, come Rcs Sport, per finanziare il “turismo sportivo” (leggasi giri in bicicletta) mentre le strade restano colme di munnizza e le autostrade affastellate di cantieri e di disagi. La Chinnici, che ha deciso di prestare al suo partito un volto candidato e una storia rassicurante, potrebbe buttare un occhio a questi dossier per farsi un’idea del governo a guida Musumeci. A cominciare dall’operato del suo ‘cerchio magico’, che ha finito per intaccarne – anche moralmente – le fondamenta politiche e amministrative.

E ripartire da lì. Dalla gestione della sanità, che rafforza le convenzioni coi privati con la scusa di ridurre la “mobilità passiva” e, con la campagna elettorale alle porte (dopo aver promesso stabilità a novemila precari Covid), ricompensa i medici a bordo delle ambulanze, riconoscendo loro un aumento; dall’Orchestra Sinfonica, ingabbiata da oltre un anno nella tela di un commissario straordinario che fa e disfa liberamente; dai cinque esercizi provvisori dell’assessore Armao, roba da guinness, e dalle Finanziarie severamente impugnate (come l’ultima); dalle tante riforme stracciate, nonostante le promesse elettorali. Quella sui rifiuti, sacrificata sull’altare delle divisioni nella maggioranza, dell’emergenza costante e del potere (irriducibile) dei signori delle discariche; quella della Pubblica amministrazione, che servirebbe come l’aria, soprattutto per cancellare l’anomalia dei dirigenti di ‘terza fascia’ (che prima o poi potrebbe costarci un danno ingente all’erario); quella dei Consorzi di Bonifica e dei Forestali, due categorie ‘spolpate’ dalla politica per bieche ragioni elettorali.

Ce ne sarebbero di elementi per costruirsi un giudizio. Per entrare a pieno titolo nelle dinamiche della politica siciliana, dove scottarsi è più facile che al parlamento europeo. E poi, già che c’è, la Chinnici consegni i suoi resoconti a un’altra donna di grande coerenza come Giorgia Meloni: forse capirà, una volta per tutte, che impuntarsi proprio non ne vale la pena…