In una vecchia e struggente canzone degli anni settanta era scritto:
“Quando si alza il vento… no… più fermare non si può…”
Venti di guerra si avvicinano.
E il silenzio tutto intorno è quello che precede la tempesta.
Sembrava impossibile solo qualche mese fa.
Guardando i conflitti che si susseguivano nel Medio Oriente, in Siria, in Libia, ci dicevamo che tutto questo non ci riguardava.
Eravamo spettatori di contese belliche a noi estranee e che mai avrebbero interessato il nostro quotidiano.
Allo stesso modo guardavamo le notizie che ci arrivavano dalla lontanissima Wuhan.
Virologi e scienziati si avvicendavano in televisione per rassicurarci che mai quel virus ci avrebbe raggiunto.
Sappiamo, adesso, che così non era e che questo mondo è più piccolo di quanto possa ritenersi.
La tosse cinese è diventata la polmonite esiziale dell’Occidente.
D’altronde sarebbe bastata un po’ di saggezza per capire che non esiste un luogo sicuro lontano da noi stessi.
Soprattutto allorchè diventiamo, con l’indifferenza, i peggiori nemici della nostra stessa coscienza.
Adesso il mondo sta bruciando vicino ai confini di ciò che chiamiamo Europa.
E non possiamo dire – come il poeta latino Orazio – “Neptunum procul e terra spectare furentem”.
Non si può guardare la tempesta stando ben nascosti nell’anfratto protetto di un litorale.
Questo uragano – che vediamo sorgere sul Mar Nero – ha intensità e forza distruttiva senza eguali.
Si sta dirigendo verso di noi con la cieca e incontenibile follia che solo l’odio può generare.
Ogni raffronto con il passato è inutile perché quel passato (per quanto terribile) non contemplava la deterrenza nucleare e i suoi scriteriati automatismi consegnati a pulsanti premuti da pazzi.

D’un tratto il mondo si scopre debole avendo costruito il suo futuro su una imprevedibile quanto inutile forza…