Ho fatto un sogno. Come ogni mattina arrivavo al bar e non trovavo nessuno. Non c’erano i cassieri, non c’erano i banconisti, nessuno al laboratorio. Pure il fido Michele, rosticciere e amico di confidenze e viaggi in moto, mi aveva abbandonato. C’era solo la zingara che chiede l’elemosina. Ma che fine hanno fatto tutti?, le chiedevo roso dall’ansia. La zingara si sollevava a fatica dall’elegante cassa di birra su cui trascorre le giornate e mi indicava col dito ingioiellato un locale pochi metri più in là.

Erano tutti lì i traditori, in fila. Ma in fila per cosa? Alzavo lo sguardo, un uomo geniale aveva messo su un’attività di redditi di cittadinanza take away, altro che il sushi station del mio amico Pietro. Michele, tu quoque?, chiedevo implorante. Michele allargava le braccia e mi mostrava il suo reddito di cittadinanza appena sfornato, caldo e croccante, aspettava solo di essere addentato. “Cosa faresti al posto mio?”, mi chiedeva con una di quelle domande retoriche che hanno il solo scopo di metterti spalle al muro.

Erano tutti lì, Faustino, Baldo, Silvia, Alessandro, Rosy, Gianluca. “E il bar?”, urlavo mentre il fornaio sfornava redditi di cittadinanza su redditi di cittadinanza. Sapevo di non avere scampo, sapevo di non avere argomenti, sapevo che fra un lavoro faticoso (seppur retribuito) e una retribuzione che ti arriva a domicilio mentre dormi sul divano o lavori in nero da qualche parte non c’è partita.

E il bar era lì, triste solitario y final, anche la scritta luminosa – quel Massaro dal 1957 – mi sembrava anacronistica e oramai perdente di fronte al nuovo che avanza, alla promessa di una vita fuori dai legacci di sveglie all’alba e di turni pomeridiani e serali che per qualcuno equivalgono a una dolorosissima seduta
dal peggiore dei dentisti.

Entravo al bar sconfitto, la zingara ridacchiava sotto i baffi mostrandomi i denti d’oro zecchino. Accendevo le luci, avviavo le casse, mettevo in pressione la macchina del caffè, aprivo il gas per le friggitrici. Indossavo un grembiule e col più falso dei miei sorrisi dicevo “il signore desidera?”. Era la vita che faceva il suo giro e mi presentava il conto definitivo. Io e il bar soli faccia a faccia, senza intermediari, senza banconisti o fattorini, io e lui a guardarci spauriti e a chiederci “e ora?”

Mi sono svegliato sudato e spaventato. Non mi sono neanche lavato, ho infilato i jeans, il maglione a collo alto e sono corso al bar. Erano tutti lì, ognuno al suo posto. Ho guardato fuori, il locale che sfornava promesse per una vita migliore chiuso e col cartello affittasi in mostra ormai da anni. Ho fatto colazione col mio solito cappuccino e sono andato da Michele. L’ho abbracciato e gli ho accarezzato il viso barbuto come si fa con una donna a cui vuoi bene, “dimmi che non mi tradirai mai, nemmeno per il più bello dei redditi di cittadinanza”.