Nel governo sta per scoccare l’ora della Finanziaria, così dicono. Ma non è ancora chiaro su cosa punti la prossima Legge di Stabilità, quali siano le somme a disposizione e quale la scelta dell’esecutivo: se distribuire prebende (siamo appena entrati nella stagione elettorale), risanare i conti o determinare una politica di sviluppo con obiettivi a dieci anni. La Regione ha un tavolo aperto al Ministero delle Finanze (dal 2018) da cui si aspetta di poter liberare risorse aggiuntive sulla base del riconoscimento di alcune attuazioni statutarie. Armao ha messo sul piatto – da tempo – i costi dell’insularità: circa 6 miliardi l’anno di tassa occulta, per un importo pro-capite di 1.300 euro, a causa di una posizione geografica che ci penalizza rispetto al resto del continente. Gli incontri con gli uffici del ministro Franco servono soprattutto a questo: a determinare forme di perequazione (c’è già un impegno su quella infrastrutturale) che consentano alla Regione siciliana di non sentirsi l’ultima della classe e a cancellare le lagne più frequenti nei confronti di Roma.

In attesa di archiviare il gap col resto d’Italia – che di certo esiste e potrebbe persino aumentare col la spartizione delle risorse del Pnrr – tocca alla politica siciliana procedere con cognizione di causa. Seguendo ciò che impone l’ultimo accordo con lo Stato, firmato lo scorso 14 gennaio dall’ex presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e l’attuale governatore siciliano, Nello Musumeci. E’ l’accordo che permette alla Sicilia di poter rateizzare in dieci anni quote di disavanzo imponenti (1,7 miliardi), in cambio però di un impegno su altri fronti: in primis la riqualificazione della spesa e il ridimensionamento degli sprechi. Su questi aspetti, però, nell’Isola non ci si sofferma mai abbastanza. Non c’è uno che si preoccupi di chiudere le procedure di liquidazione degli enti in dismissioni, già avviate, o di cancellare dalla faccia della terra i carrozzoni inutili. Anzi, come accade in Finanziaria o con leggine ad hoc, il parlamento si trova spesso costretto a fare regalini a questa o a quella società (come nel caso di Sicilia Digitale) per permettere ai dipendenti di arrivare a fine mese.

Nessun taglio, invece, ai costi inutili. Anche il mantenimento del blocco delle assunzioni, determinato dall’Accordo, non vale fino in fondo, dato che alla Seus – la società di emergenza-urgenza – è stata garantita una deroga per immettere forze fresche a livello di personale (fino a 150 unità). Anche l’Ast, che negli ultimi anni ha espresso una governance finalmente virtuosa (di recente è stata assorbita Jonica Trasporti, ex feudo di Montante), fatica a garantire il normale svolgimento del servizio con l’attuale dotazione organica. Mentre nell’ultimo piano di rientro, allegato alla Legge di Stabilità 2021, è presente una deroga per Sicilia Digitale, che consentirà di stipulare contratti esclusivamente a tempo determinato per figure tecnico-informatiche, indispensabili per la funzionalità della società. Sul fronte dei costi, invece, la Regione aveva già deliberato lo scorso anno (cioè prima del patto con Roma) una riduzione delle spese di amministrazione e di gestione del 5% su base annua a partire dal 2018, e un accorpamento (non ancora concluso) fra diverse partecipate. Da queste voci dovrebbe arrivare il 20% di un risparmio di spesa corrente che per il 2022 è previsto in 80 milioni, il doppio rispetto al 2021.

Se risparmiare è d’obbligo, lo è altrettanto aiutare e sostenere un sistema produttivo in difficoltà, che negli ultimi anni – anche per la pandemia – è letteralmente crollato. Ma su questo punto specifico vale la pena richiamare un paio di questioni. La prima attiene ai ristori: nella Finanziaria 2020 ne erano previsti e in gran numero, ma le modalità di erogazione si sono rivelate un tappo. In quella manovra, dal valore di 1,4 miliardi di euro, si era deciso di pompare nuove risorse nei confronti delle aziende in crisi (comprese le edicole si cui si parlava nella prima puntata di questo approfondimento), declinando i canali della spesa in modalità Ue. Cioè riprogrammando un’enorme quantità di fondi strutturali e fondi Poc, ch’erano già stati assegnati ad altri capitoli (su tutti: gli investimenti). La procedura, garantita da una maggiore flessibilità da parte di Bruxelles, si è rivelata più ardua del previsto: la riprogrammazione – che passa da un iter farraginoso, compreso uno stop intermedio al Ministero per la Coesione territoriale – si è conclusa otto mesi dopo l’approvazione della Finanziaria. Parte delle misure, così, sono tuttora inattuate. Da qui la definizione di Finanziaria di cartone.

Un esempio meritevole d’attenzione è quello che riguarda i 70 milioni (su 100) destinati ai buoni spesa per i 390 comuni siciliani: le difficoltà di rendicontazione hanno fatto in modo che 60 non venissero spesi (e, di conseguenza, riassegnati). O anche la vicenda del Bonus Sicilia: l’unico, vero provvedimento a favore delle imprese che, però, l’utilizzo del click day ha vanificato. Il crollo del sistema informatico, infatti, ha costretto l’assessore Turano a ritirare il bando e ripresentarlo con una nuova veste, che ha previsto contributi a pioggia per tutti, massimo due mila euro ad azienda (cioè briciole). Nell’ultima manovra, per evitare di incorrere in questo marasma, si è deciso di escludere i ristori. Prevedendo un iter separato e parallelo in via amministrativa: ma i 250 milioni promessi da Musumeci e Armao, nessuno sa che fine abbiano fatto.

Un’altra cosa da evitare sono i personalismi. Come avvenuto con l’assessore Armao nel corso dell’ultima sessione. L’eccessiva esposizione sull’articolo 8, che oltre a favorire una concessione di finanziamenti attraverso la Banca Europea degli investimenti, prevedeva un milione e mezzo per l’attivazione dell’accordo (possibili consulenze), ha generato polemiche e la stroncatura dell’aula, con un emendamento a firma Pd; la stessa cosa è accaduta alla norma ‘Ritorno in Sicilia’ (art.50) che prevedeva una serie di agevolazioni per chi stabilisse nell’isola la propria residenza fiscale (stralciato dal testo); mentre è stato soppresso col voto segreto l’articolo 53 che avrebbe consentito all’assessorato all’Economia di stipulare – per un milione l’anno – contratti con l’Irfis “per l’affidamento alla stessa di servizi di supporto amministrativo, organizzativo ed assistenza tecnica ad alto contenuto professionale in favore dell’amministrazione regionale”.

Sono solo alcuni esempi che testimoniano il rapporto difficile, complicatissimo fra il vicepresidente della Regione, reo di praticare la “finanza creativa”, e il parlamento siciliano: “Ci apprestiamo a discutere una finanziaria – disse l’on. Danilo Lo Giudice, gruppo Misto – dove si continua a discutere di milioni e milioni da assegnare, senza però chiarire quale sia la copertura finanziaria. Mi chiedo e chiedo al governo se sia possibile avere un quadro attendibile delle risorse di bilancio, della situazione economica e finanziaria, dei fondi extra regionali. Qui non siamo al mercato, siamo al Parlamento e i parlamentari meritano rispetto a partire dall’assessore”.

La bocciatura di alcune norme ha finito per evidenziare la pratica dei franchi tiratori, che rifugiandosi nel voto segreto (garantito dai dettami parlamentari), sono soliti recapitare un messaggio al governo. Ma c’è un altro controllo ex post, ad opera del Consiglio dei ministri, che preoccupa: di recente, infatti, il governo centrale – di qualsiasi colore esso sia – ha sforbiciato molte delle leggi uscite da Sala d’Ercole. La più grave, di cui ancora si dibatte, riguarda la stabilizzazione dei precari Asu (art.36 dell’ultima Finanziaria). Ma in generale è stato lo stesso presidente dell’Ars a evidenziare come negli ultimi tre mesi le stroncature di palazzo Chigi abbiano riguardato il 15% delle leggi approvate dall’Assemblea. Un problema che va risolto, per evitare future burrasche. Micciché ha garantito che non prenderà più in esame proposte di legge, o norme specifiche, che non superano il vaglio degli uffici e che, al contrario, servirebbero solo a soddisfare gli appetiti dei deputati. In sostanza, il presidente ha promesso di andarci coi piedi di piombo. La prossima manovra servirà a fare un tagliando anche sulla credibilità delle istituzioni siciliane.