La diarchia, grande classico. C’è il capo ufficiale, in questo caso “nominato” alla guida del Movimento così come era stato “elevato” a palazzo Chigi, con un “incapace” nel mezzo da parte del nominante, voce dal sen fuggita e mai fino in fondo chiarita. E c’è il king maker sostanziale che di botte ne ha prese parecchie, sin da quando si tolse la cravatta di capo del Movimento o fu costretto a uscire dalla stanza di vicepremier nell’era giallorossa, che non era la sua. Mesi di low profile, cura dei rapporti internazionali, feluche e lezioni d’inglese. Chissà se è un complimento, detto da quelle parti, ma certo è un omaggio alla professionalità della politica: la chiamano la “dalemizzazione di Di Maio”, capacità di dirigere anche se non hai un ruolo di comando, perché – diceva il lìder maximo, “capotavola è dove mi siedo io”. Continua sull’Huffington Post