Il ritorno del Giro d’Italia in Sicilia, annunciato ieri sui social della corsa rosa, merita un paio di letture. La prima è nazional-popolare, e concerne la gara ciclistica in sé, la bellezza del territorio e delle immagini dall’alto, il tentativo – coraggioso e un po’ fumoso – di indicare nell’arrivo della carovana l’esplosione del turismo. Parlare di destagionalizzazione è un tentativo sin troppo audace, se non si accompagna l’esposizione mediatico-sportiva, e le sfrenate campagne pubblicitarie, con un’attenta riorganizzazione dei servizi, dei collegamenti, dei trasporti (Frecciabianca what?). Ma poi c’è un’altra faccia della medaglia, che a voler essere cinici e “giusti” non si può ignorare: ossia la dotazione economica e finanziaria che, dal 2019, il governo Musumeci mette a disposizione degli organizzatori del Giro, ossia Rcs Sport. Si tratta della costola “operativa” del gruppo Rcs (acronimo di Rizzoli-Corriere della Sera), la società di Urbano Cairo che controlla la Gazzetta dello Sport e, attraverso la consorziata Cairo Communication, anche La7.

Ebbene, la collaborazione fra Cairo e Musumeci comincia nel 2019, quando il governo della Regione siciliana decide di acquistare da Rcs Sport un pacchetto che comprende più eventi: il ritorno dopo una quarantina d’anni del Giro di Sicilia (celebrato nelle edizioni ’19 e ’21, con in mezzo l’interruzione per la pandemia) e due passaggi della competizione più celebre. Il tutto per la “modica” cifra di 10,8 milioni di euro. Il Giro d’Italia deve approdare in Sicilia nella primavera 2020, dopo lo start in Olanda. E poi l’anno successivo, quando la corsa è destinata a partire direttamente dall’Isola. Ma succede qualcosa di imprevisto – il Covid – che cambia le carte in tavola. Il Giro scatta sì da Monreale, ma a ottobre 2020, cioè la data in cui viene riprogrammata l’edizione numero 103. In pieno autunno e con le strade semi-deserte a causa dalle restrizioni della pandemia, mentre il Paese (ancora senza vaccini) si chiede come uscirne. Le quattro tappe siciliane nulla tolgono alla bellezza del verso (il fascino della cattedrale di Monreale, il candore di Palermo senza monnezza, le fatiche dell’Etna), ma rimane quel senso d’incompiuta che lascia intravedere il bicchiere mezzo vuoto.

Per riempirlo sarà necessario un altro passaggio: nel 2022. La presentazione scaglionata dell’edizione numero 105 è cominciata lunedì sui social, e ha già consegnato un verdetto: il Giro torna in Sicilia con i 172 chilometri della tappa da Catania a Messina, con passaggi intermedi a Francavilla di Sicilia e Villafranca Tirrena e un Gran Premio della Montagna a Portella Mandrazzi. Ovviamente non verrà percorsa l’A18, già piena d’interruzioni e molto sensibile al traffico. Musumeci, inoltre, non avrà il fastidio di dover concedere la scena – magari per una premiazione sul podio – al nemico giurato Cateno De Luca, che nella prossima primavera dovrebbe già essersi dimesso dalla carica di sindaco di Messina per candidarsi alla presidenza della Regione (la deadline scade a febbraio, tre mesi prima della corsa rosa). Ma certo, il ritorno del Giro – è stata annunciata anche una seconda tappa, da Avola all’Etna per 166 km – può segnare un punticino anche per la campagna elettorale, se per il presidente uscente dovesse concretizzarsi la speranza del bis.

Questo è un governo che non ha mai tralasciato i grandi eventi e le manifestazioni di pregio: dal concerto di Bocelli a Noto, passando per il tour di Dolce & Gabbana (con Giuseppe Tornatore), che hanno riempito le piazze e i calendari delle istituzioni (schierate in prima fila per il photo shooting). Inoltre è impossibile dimenticare la promozione pubblicitaria – affidata ad alcuni volti noti: da Eleonora Abbagnato a Colapesce e Dimartino – per il lancio del programma turistico See Sicily (in quel caso la campagna fu aggiudicata a una società milanese, Itaca, per 5 milioni di euro).

Il Giro ha una dimensione tutta propria. Appartiene al pubblico. Rappresenta la manifestazione nazional-popolare per eccellenza, è esaltazione della fatica e del gesto tecnico. Teatro di virtù e di beltade. Con un discreto giro d’affari, che spesso viene fatto coincidere con la “grande occasione per far conoscere nel mondo l’immagine migliore della nostra terra” (parole di Musumeci in un’intervista al Corriere). Sarebbe curioso conoscere quali benefici ha portato all’indotto turistico e commerciale la carovana rosa nel 2020, così come l’ultimo Giro di Sicilia (vinto da Vincenzo Nibali a ottobre): resta il fatto che l’investimento della Regione è importante e continuerà ad esserlo. Il conto aperto con Rcs non è stato aggiornato (si attende ufficiale comunicazione del nuovo accordo con relative cifre). Né è dato sapere quali saranno le gratificazioni, presenti e future, per l’accoppiata Musumeci-Messina, il prode assessore a Sport, Turismo e Spettacolo che ha fatto il diavolo a quattro, anche all’interno del suo partito, per sostenere la ricandidatura del presidente.

L’unica cosa certa, nell’immediato, è che un altro gruzzoletto finirà nelle casse di Rcs Sport. Mentre uno degli effetti collaterali – viva Iddio – è l’intervento di manutenzione su alcune strade secondarie. Alla vigilia del passaggio nel Giro d’Italia, nel 2020, la giunta deliberò un investimento da 4 milioni (soldi extra, ovviamente, rispetto a quelli versati al colosso editoriale) per “la manutenzione e messa in sicurezza” delle arterie delle quattro province interessate dall’attraversamento del gruppo. La stessa, identica cosa è avvenuta qualche settimana addietro, quando 6 milioni sono stati spesi per “i lavori di messa in sicurezza, ammodernamento e ripavimentazione” delle strade che “andranno a beneficio di utenti e territori”. Dieci milioni spesi bene – diciamolo – grazie a una cassa di risonanza che solo i due eventi hanno saputo garantire. Fuori dalla parentesi dei grandi giri, però, nessuno scuce un euro. E persino gli interventi già previsti dalla riprogrammazione comunitaria, negli ultimi anni, sono stati stravolti: con l’insorgere del virus, e le possibilità “in deroga” offerte dall’Europa, si è preferito dirottare i soldi sulla spesa corrente anziché sugli investimenti infrastrutturali. Per alcuni di essi arriverà in soccorso il Pnrr. Per gli altri, forse, bisognerà affidarsi alla clemenza di Cairo.