Tra i numerosi affluenti dello scandalo di Sicilia Patrimonio Immobiliare e del censimento “fantasma” da 110 milioni, ormai inservibile, si annida un’altra ombra. E’ una nota che il 3 luglio scorso parte dal gabinetto dell’assessorato all’Economia, presidiato da Gaetano Armao, e finita al procuratore generale della Corte dei Conti, Gianluca Albo. La stessa Corte, qualche mese prima, in sede di parifica, aveva chiesto alla Regione di fornire ampia documentazione sul patrimonio immobiliare dell’Ente, tanto da convincere Armao a inserire nel “collegato generale” una norma che prevedesse l’espletamento di una nuova mappatura degli immobili (dovevano realizzarla il Genio Civile e il Dipartimento Tecnico). Ne parlava l’articolo 11 della Finanziaria-bis, che viene però stralciato per l’insistenza del Movimento 5 Stelle. I grillini si oppongono fermamente a un nuovo censimento: prima vogliono sapere che fine abbia fatto il dossier del 2009, quello realizzato dalla Spi – rappresentata dall’avventuriero di Pinerolo Ezio Bigotti – per nome e per conto della Regione. A quel punto Armao stoppa tutto e spiega che “la Regione ha acquisito il server ma, ad oggi, non risulta disponibile la password per entrare nel documento”. E’ il 2 luglio di quest’anno.

Il giorno dopo, dall’assessorato all’Economia, parte una missiva con un solo destinatario: il procuratore generale della Corte dei Conti, Gianluca Albo. E recita esattamente così: “Questo assessorato che ha acquistato il database in oggetto dalla Spi in liquidazione non riesce ad accedere allo stesso in modalità “Amministratore”, modalità assolutamente necessaria per l’amministrazione dei dati connessi alla valutazione del patrimonio della Regione (…) Non si riesce a risalire alle licenze del software e alle relative credenziali d’accesso in modalità “Amministratore” al database, acquisizioni per le quali sono state attivate le possibili iniziative amministrative. Tanto si segnala a questa Eccellentissima procura in considerazione dell’evidente pregiudizio ad oggi patito da questa Amministrazione”. Dopo aver spiegato per la prima volta a Sala d’Ercole che la Regione, dopo una decina d’anni, non è ancora nelle condizioni di aprire quel benedetto server, Armao mette a conoscenza anche la Corte dei Conti, che su tutta l’operazione della Spi – lo aveva ribadito in aula l’assessore – aveva “posto in essere una serie di accertamenti”.

La corrispondenza fra il Dipartimento regionale delle Finanze e del Credito e Sicilia Patrimonio Immobiliare, una società in liquidazione dal 2017, durava già da mesi. E’ come se la Regione si fosse svegliata all’improvviso e avesse provato a recuperare il terreno perduto. La consegna del software informatico che permetteva di accedere al database del censimento, era avvenuta infatti il 16 giugno 2010. Ma è solo in seguito a un incontro interlocutorio del 5 aprile di quest’anno, che la Regione perde la pazienza e, il 2 maggio 2019, invia un sollecito urgente al liquidatore: “Non avendo ricevuto notizia in ordine all’acquisizione della password di “amministratore” quale elemento, come noto, essenziale affinché la Regione possa entrare in possesso dei dati di interesse, si sollecita la S.V. ad acquisire gli elementi in parola, assegnandosi, qui, il termine finale del 6 maggio”.

La risposta di Fabrizio Escheri, il liquidatore di Sicilia Patrimonio Immobiliare, arriva negli uffici di Armao qualche giorno dopo la scadenza della deadline (il 9 maggio). E comunque non è risolutiva: “Per quanto riguarda le credenziali per l’accesso al database – spiega Escheri – lo scrivente ha provveduto a richiederla al Data-base manager della Sicilia Patrimonio Immobiliare spa in liquidazione. Il dott. Vella, l’8 maggio 2019, mi ha informato che ‘durante tutta la mia attività lavorativa in SPI ha avuto solo la mia utenza personale come tutti gli altri colleghi’. (…) Lo stesso mi ha anche informato che le funzioni di amministratore di sistema veniva svolta dai tecnici di Sicilia e-servizi”. “Infine si specifica che ‘la licenziataria (la Regione siciliana ndr) può utilizzare” il sistema “nella configurazione fornita, installata e consegnata in data 16 giugno 2010’”.

Tutto come prima. La password, richiesta dalla Regione al liquidatore di Spi, non arriva. Rimane imprigionata. Così il 2 luglio, a Palazzo dei Normanni, va in scena il tentativo (abortito) di Armao di svolgere una “ricognizione straordinaria del patrimonio dell’ente”, come richiesto dai magistrati contabili. Il giorno seguente il Movimento 5 Stelle ci scherza su, schernendo l’assessore su Facebook alla ricerca della password perduta, ma il gabinetto di Armao si muove e scrive alla Corte dei Conti. Non prima di aver ricevuto una nota del proprio Dipartimento, in cui viene riassunta la situazione per intero: “Allo stato attuale la password di “amministratore” non è in possesso del dipartimento” spiega il dirigente del Servizio 7 – Demanio e Patrimonio Indisponibile. E aggiunge un paio di elementi: che i codici forniti dalla Spi al liquidatore non consentivano l’accesso al server; e che i tecnici di Sicilia Digitale (ex Sicilia e-servizi), a cui – da alcuni verbali – sembrava fosse stata consegnata la password, sono “in possesso solo di password da utilizzatore” (e non da amministratore). “Ad oggi – sono le conclusioni del Dipartimento – resta ancora indefinita sia la possibilità di amministrare i dati, sia la conferma che la Liquidazione possa cedere a titolo gratuito il server”.

Appena appresa la notizia, Armao scrive ad Albo. Agli atti manca – per il momento – l’eventuale risposta da parte del procuratore generale della Corte dei Conti, anche se gli eventi vengono superati dall’annuncio di Armao, che il 10 luglio – a otto giorni dalla disputa coi Cinque Stelle – dice di aver ritrovato la password: “Inizialmente gli uffici avevano avuto qualche problema di verifica e di controllo. Fra il 17 e il 18 luglio avremo pieno accesso alla banca dati”. Altro che qualche problema di verifica e di controllo. Le ricerche della password si sono rivelate più articolate del previsto, tanto che l’assessore era pronto a un blitz, e aveva messo in preallarme la Corte dei Conti, per effettuare una ricognizione ex novo e far cadere nel dimenticatoio un affare che, fra gli 80 milioni fatturati a Bigotti (e finiti in Lussemburgo), i 12 del lodo arbitrale perso nei confronti della Spi, e i 15 pagati alla stessa Spi per la rendicontazione e la svendita di altri 33 immobile della Regione, è costato ai siciliani 110 milioni di euro.

C’è voluto un primo intervento della commissione regionale antimafia, qualche settimana fa, per far emergere un pezzettino di verità. E per alimentare una miriade di dubbi: perché, ad esempio, nessuna Procura o Corte dei Conti ha seguito la scia del danaro fino in Lussemburgo? E perché la politica aveva scelto di silenziare per così tanto tempo gli effetti devastanti di questa operazione? E infine, il quesito più importante: di chi sono le responsabilità di questo enorme spreco di denaro? Tornerà a occuparsene l’Antimafia. L’unica fiammella accesa in un mare di omertà.

INTANTO MANCUSO CHIEDE LA SUA TESTA

“Se Miccichè mi chiedesse di dimettermi da deputato lo farei senza esitazioni. Lo farei per disciplina di partito, per stima, per affetto, per gratitudine. Ma ad Armao, che continua ad offendere il lavoro e l’impegno del parlamento tutto, non può chiedere di disconnettersi da Facebook. A nome di Forza Italia e dei siciliani, dovrebbe chiedergli di dimettersi dalla giunta. Basta parole, la gente ha bisogno di fatti concreti. La Politica deve tornare a farla chi vive i bisogni del popolo, mischiandosi con le quotidiane esigenze. L’avvocato Armao certamente è uno dei professionisti più apprezzati nel suo campo, ma il consenso e le risposte che ne susseguono sono un’altra storia. A me piace immaginare una Sicilia normale, in cui ogni cittadino si senta tutelato da chi lo rappresenta. La fine del populismo può essere decretata solo tornando tra la gente”. A riferirlo è il deputato di Forza Italia all’Assemblea Regionale Siciliana, on. Michele Mancuso, a seguito delle dichiarazioni del presidente Gianfranco Miccichè indirizzate all’Assessore Gaetano Armao.