Nello Musumeci non è del tutto convinto. E prima di agire, vorrebbe condividere le decisioni coi leader dei partiti della maggioranza. Per questo il governatore ha deciso di prendersi altre 48 ore e rinviare (al 2 gennaio?) il giuramento dei due nuovi assessori scelti da Forza Italia: si tratta del mazarese Toni Scilla e dell’agrigentino Marco Zambuto. Ma è difficile che ci siano sorpresi. I due uscenti, Edy Bandiera e Bernadette Grasso, hanno già consegnato il loro addio ai social media: “Mai, nella storia della Sicilia, da non deputato, un assessore all’Agricoltura è durato così tanto. Oltre tre anni. Per questa possibilità e per la fiducia – ha scritto Bandiera – ringrazio il mio partito, il presidente Gianfranco Micciché e il presidente Musumeci”.

Anche la Grasso, fresca di nomina a commissario provinciale di Forza Italia per Messina, si è congedata su Facebook: “Una volta rassegnate le mie dimissioni da Assessore alle Autonomie Locali e alla Funzione Pubblica, da Persona, da donna, prima ancora che da rappresentante delle Istituzioni, sento il dovere di ringraziare tutti coloro che hanno lavorato al mio fianco, i dipendenti regionali, il Presidente della Regione ed i colleghi assessori coi quali ho condiviso un’esperienza di Governo che mi ha certamente arricchita e che ha contribuito ad accrescere il mio bagaglio personale, un bagaglio fatto di esperienze e umanità che mi ha permesso di stare a contatto con la gente e coi loro rappresentanti locali, offrendomi l’opportunità di interloquire sempre in maniera positiva e propositiva e così continuerà ad essere, dal momento che da parlamentare, oltreché da neo coordinatore provinciale di Forza Italia, questo dialogo non solo non verrà meno ma si intensificherà”.

La Regione siciliana è sempre più provincialista. Nel solco di Nello Musumeci – che ha decentrato il palazzo del potere nella stazione equina di Ambelia, a due passi da Militello val di Catania, la città natale del governatore – anche Gianfranco Miccichè ha deciso di puntare sulla riorganizzazione territoriale degli assessorati. Un modo come un altro per tenere a bada Forza Italia e la sua base (“Era un problema che sentivo da tempo che da molte parti mi facevano pesare”, ha ammesso il commissario azzurro a Buttanissima) e dare piena rappresentatività a due province, come Agrigento e Trapani, che alle ultime Regionali hanno garantito al partito di Berlusconi un bel granaio di voti: ad Agrigento FI prese il 10,5%, a Trapani addirittura il 19%.

“Palermo capitale” per il momento è rappresentata da quattro assessori: Gaetano Armao, in quota Forza Italia, ma nei fatti un “tecnico” voluto da Berlusconi e protetto da Musumeci; Roberto Lagalla, Toto Cordaro e Alberto Samonà. Mentre Catania ha piazzato le pedine Ruggero Razza, Marco Falcone, Manlio Messina e Antonio Scavone. Mimmo Turano è un trapanese doc. Alberto Pierobon è veneto. Messina e Siracusa, fino a ieri rappresentate da Bernadette Grasso ed Edy Bandiera, hanno retto metà legislatura. Mentre le uniche a non toccare palla sono state Enna e Ragusa. Mentre Caltanissetta, in ballo con l’altro forzista Michele Mancuso, ha dato i natali politici a Mariella Ippolito, ex assessore alla Famiglia (poi rimpiazzata da Scavone).

Tutto sommato il nodo geografico è stato risolto. Ma l’ultimo rimpastino è diventata, comunque, materia complicata. A causa di una delle due new entry. Mentre Toni Scilla scalda i motori da mesi, ed era pressoché certo di ottenere, da buon mazarese, le deleghe a Pesca e Agricoltura (se ne farà una ragione Stefano Pellegrino, che resta tuttavia presidente della commissione Affari istituzionali), Marco Zambuto è una folgorazione degli ultimi giorni. Il miglior compromesso possibile. L’ex sindaco (per due legislature) di Agrigento, è infatti il filo che lega Gianfranco Micciché a Nello Musumeci, che alle Amministrative dello scorso ottobre aveva scelto di sostenerlo con Diventerà Bellissima: Zambuto, però, arrivò terzo, mancando il ballottaggio. Ma è anche un riferimento del deputato regionale Riccardo Gallo Afflitto, colonna forzista nell’Agrigentino.

Nel 2015, proprio a seguito di una visita organizzata dallo stesso Gallo ad Arcore, Zambuto fu costretto a un clamoroso passo indietro da presidente del Pd. Era il partito di Matteo Renzi, a cui l’ex sindaco aveva scelto di iscriversi nel 2013 (in uscita dall’Udc), prima di diventarne dirigente. L’incontro con Berlusconi si rivelò galeotto: molti sostennero che serviva a definire la candidatura di Silvio Alessi per le primarie del centrosinistra ad Agrigento, dove si giocava la partita delle Amministrative. Ma Zambuto smentì totalmente quella versione, spiegando in maniera un po’ controversa le ragioni della sua visita: “Il deputato Gallo Afflitto era in difficoltà perché alcuni media avevano rilanciato le dichiarazioni di un pentito secondo il quale il deputato nel 1988 avrebbe concorso a un omicidio di mafia. Mi ha chiesto lui di testimoniare davanti a Berlusconi sulla sua onestà – sostenne all’epoca Zambuto -. E lo ha chiesto a me proprio perché, da avversario, potevo risultare credibile”.

Un episodio che ha segnato la gavetta di questo 47enne, che ha già fatto il sindaco un paio di volte e ha cambiato più partiti. Divenne primo cittadino nel 2007, quando da esponente di spicco dell’Udc provinciale ottenne l’appoggio, fra gli altri, dei Ds e dell’Udeur. Nel 2008 l’improvvisa virata a destra, con il Popolo della Libertà. Che lascia nel 2010 per tornare all’Udc. A maggio 2012 si conferma sulla poltrona da sindaco, e nel giro di un anno abbandona l’Udc e aderisce al Pd di Matteo Renzi, dove nel 2014 – intanto si era dimesso da sindaco a seguito di una condanna per abuso d’ufficio – ottiene l’incarico di presidente dell’Assemblea regionale. La visita ad Arcore gli costa il posto, anche se Zambuto resta un cuore dem fino al 2019, quando sceglie di fare voti (ancora) a Berlusconi. Che infatti lo ripropone: alle Amministrative, l’avvocato, figlio di un altro ex sindaco, Calogero, ci riprova per la terza volta. Stavolta gli va male: la sua candidatura, spinta da Forza Italia (che si è confermata sopra l’11%), Diventerà Bellissima e Udc, si ferma al 17%, che non basta a garantirgli nemmeno il ballottaggio. Vince il medico Franco Micciché, sostenuto dagli Autonomisti di Roberto Di Mauro. Gli stessi che di recente si sono stretti in federazione con la Lega di Salvini.

La presenza in giunta di Marco Zambuto, che ha superato la concorrenza del nisseno Michele Mancuso, cancella l’unico residuo di “quote rosa”. Con l’addio di Bernadette Grasso, a cui non sono bastati gli apprezzamenti ricevuti da molti sindaci (ma a cui è rimasta la nomina di coordinatrice provinciale del partito a Messina), la giunta non ha più donne. Un bel problema (d’immagine) per Musumeci che sul punto non sembrava disposto a cedere. Se vorrà re-introdurre una presenza femminile, dovrà rivolgersi a qualcuno che non sia Forza Italia, allargando i termini del “riassetto”. Un’ipotesi che il presidente della Regione non ha mai voluto considerare, dal momento che avrebbe provocato più di un assestamento. Il primo partito a pretendere di essere coinvolto, in caso di rimpasto o verifica della maggioranza, sarebbe stata la Lega. Ma sia Musumeci che Micciché, giocando sull’esigenza fisiologica di Forza Italia di muovere soltanto un paio di pedine, hanno fatto orecchie da mercante.

D’altronde Musumeci è fiero della sua squadra di “persone perbene”, che a differenza dei 59 assessori dei quattro governi Crocetta, ha mantenuto la stessa impalcatura fin dall’insediamento: sono cambiati soltanto gli assessori all’Energia (Pierobon al posto di Figuccia), al Turismo (Messina al posto di Pappalardo), alla Famiglia (Scavone per le Ippolito) e ai Beni culturali (Sgarbi, Tusa e Samonà). Se tutto avesse funzionato alla perfezione, i siciliani sarebbero pronti a erigere una statua al governatore. Ma fuori da palazzo d’Orleans e dalla tenuta di Ambelia, le fanfare hanno i nodi alle trombe.